Francesco Barone, docente al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, reduce da oltre cinquanta viaggi umanitari in Africa; portavoce del premio Nobel per la Pace 2018 Denis Mukwege, condivide le sue riflessioni su ciò che sarà il post Covid-19.
Al termine di questa pandemia, il mondo avrà molti più poveri, perché, come è noto, le malattie causano le povertà e viceversa. Molte persone, quindi, si troveranno a fare i conti con l’abisso della carenza e della precarietà. È impossibile anestetizzare la povertà, ma se si vuole è possibile guarirla. […] Chi è povero subisce, innanzitutto, una privazione che non può essere mai giustificata; è povero chi è vittima di questo sistema economico che incoraggia e promuove le differenze. La combinazione tra povertà e malattia continua a modificare il metabolismo dell’umanità e a indebolire le nostre difese immunitarie.
L’ultimo passaggio di Barone è piuttosto essenziale: si riconduce, in primis, ad una condizione che contraddistingue l’intera umanità, ovvero la dura contrapposizione tra povertà e ricchezza; partendo da questo abisso sociale, assistiamo allo svilupparsi di una debolezza di fondo, basata sul concetto di “umanità disunita”.
Difatti, questa argomentazione ha dei risvolti sul piano biologico: immaginate una qualsiasi specie animale la cui sopravvivenza sia determinata dalla comunità, una forma di collaborazione naturale; nessun habitat può sopravvivere ad una mancanza di unione, armonia tra simili.
Il sistema economico, generatosi col passare dei secoli, ha incrementato delle differenze di cui, oggi, non siamo più in grado di fare a meno; una marcia indietro non rientra negli interessi di chi ha salvaguardato il proprio “giardino” e comporterebbe ad un collasso dell’intero meccanismo. Un punto di non ritorno.
Ed ecco perché, di fronte a malattie infettive come il Coronavirus, una disarmonia tra simili porta alla protezione di alcuni gruppi piuttosto che altri: chi può permettersi un’assistenza, chi è nelle circostanze territoriali per farlo, difficilmente soccombe; chi non possiede un tetto sulla propria testa, non solo è in balia degli eventi, ma costituisce anche un pericolo per gli altri.
«Nulla è più scandaloso quanto gli stracci e nessun crimine è vergognoso quanto la povertà». Sono queste parole di George Farquar a rendere bene l’idea sul significato delle povertà […]. L’esplosione e la diffusione del Covid-19 anche in Europa ci costringe a riflettere su un fenomeno che, fino a qualche tempo fa, riguardava i Paesi poveri del mondo. […] Chi vive o convive con la povertà ha a che fare con l’odissea della tenerezza e della precarietà e con un desiderio ricorrente: vincere almeno una volta.
“Vincere almeno una volta”.
Nella psicologia umana, anche piccoli traumi riportano ferite emblematiche, in grado di influire sul percorso di vita individuale.
Immaginate un’idea di quotidianità dedita alla sopravvivenza più feroce; chiedersi se sarà possibile mangiare o meno, se la notte offrirà un riparo o, “più semplicemente”, se ci saranno possibilità di cambiamento.
Perfino questa condizione può essere soggetta a routine: l’abitudine ad essere tra gli ultimi, una sentenza senza pari.
E pensare che diversi secoli fa il trinomio liberté, egalité e fraternité esprimeva sorprendentemente gli ideali rivoluzionari per una società fondata sui valori […]. Questo periodo storico sta determinando inedite interpretazioni del rapporto tra individuo e collettività; è possibile, quindi, ripartire dal miracolo quotidiano di tutti coloro che sono impegnati a salvare le vite umane. […] Alcune malattie e infezioni, tra cui la tubercolosi, il morbillo e la diarrea, sono direttamente collegate alla malnutrizione acuta. La combinazione di malattia e malnutrizione indebolisce il metabolismo, creando un circolo vizioso di infezione e denutrizione che porta vulnerabilità. Oggi HIV e AIDS sono fra le principali cause di malnutrizione acuta nei Paesi in via di sviluppo. […] Inoltre, i farmaci antiretrovirali sono più efficaci se combinati a un’assunzione normale di cibo.
L’intento di Barone è sottolineare quanto economia e salute siano strettamente connesse.
Può sembrare una banalità, ma nella società capitalista anche la più pacata ideologia si tramuta in un assetto banale, soprattutto se si è nati nell’occidente del pianeta: se cercassimo di figurarci il concetto di “Paese in via di sviluppo”, ci ricollegheremo automaticamente ad un senso generico di “povertà”, come problema a sé stante; al contrario, la disuguaglianza mondiale riconosce un preciso background storico, da cui si diramano motivazioni politiche e attuali disposizioni antropologiche. Prendere coscienza di ciò vuol dire introiettare una nozione di “sofferenza” approfondita, estremamente diversa da ciò che apprendiamo dai più comuni canali d’informazione.
La carità non basta, perché non muta i rapporti esistenti. Pur alleviandone, lì per lì, le sofferenze, lascia il povero nella povertà; ma l’aiuto non può essere occasionale. […] L’atto supremo di giustizia sociale è offrire un posto di lavoro. Spezzare il circolo della privazione vuol dire restituire al povero la possibilità di dare; c’è infatti una dignità umana del dare che si traduce nella comune responsabilità per un terzo. Prima ancora che dalla condivisione della proprietà, nessuno può essere escluso dalla condivisione di questa dignità.
La “possibilità del dare” chiude il cerchio del professore.
Barone sottolinea che l’importanza dell’aiuto non è solo etico, ma richiama un accurato processo sociale: chi può dare, stabilisce una catena proficua e nell’interesse di tutti.
Se il povero di ieri oggi può donare, potrà farlo in virtù della comunità che lo supporta; in primis, in virtù del singolo, magari imprigionato nelle stesse condizioni in cui, lui stesso, militava in passato.
Il sistema sociale, dalle malattie alla salvaguardia economica, costituisce un intricato puzzle, in grado di definire quel processo di causa/effetto a cui tutti, naturalmente, siamo legati. Credere di essere slegati dal mondo, da ciò che accade al di fuori della nostra piccola “bolla”, è un errore fin troppo comune e fin troppo grave.