Il ristorante sudamericano La Churuata ha ospitato una serata a tema argentino, con la proiezione di un reportage sull’immigrazione abruzzese: “Con l’Abruzzo nel cuore”
Lo scorso venerdì 24 maggio, il ristorante sudamericano La Churuata ha ospitato una serata a tema argentino, con la proiezione di un reportage sull’immigrazione abruzzese.
Durante la cena, a base delle specialità tipiche della regione sudamericana, la proiezione del video “Con l’Abruzzo nel cuore”, a cura del documentarista Gianfranco Di Giacomantonio.
La troupe guidata da Di Giacomantonio, muovendosi per tutto il paese, dalla capitale Buenos Aires, fino alla punta più australe, è andata alla ricerca delle famiglie che tanti anni fa hanno lasciato la terra natia in cerca di un futuro migliore.
L’emigrazione italiana verso l’Argentina risale alla seconda metà dell’800 ed è diventata un fenomeno di massa negli anni ’40 del Novecento.
Si salpava dai porti di Napoli e Genova e la traversata dell’oceano Atlantico durava all’incirca un mese.
Metà della popolazione argentina, oggi, ha radici italiane e questa forte presenza si ritrova dappertutto: nei nomi delle strade, dei caffè, dei teatri e, soprattutto, nei cognomi.
Il viaggio della troupe comincia da Buenos Aires, dove si fa la conoscenza della famiglia Bruni, originaria di Acciano.
Il capostipite della famiglia è partito dall’Abruzzo nel ‘56 in cerca di lavoro. Da allora è rimasto in Argentina per 38 anni senza avere la possibilità di tornare in Italia.
Racconta con commozione il suo viaggio attraverso quella infinita distesa blu, le sue aspettative, le difficoltà di una vita sradicata e ripiantata ex novo in un altro paese.
Chi partiva dall’Italia, lo faceva con tanti sogni e grandi speranze, ma spesso senza altre risorse se non la propria buona volontà e non senza un po’ di amaro in bocca.
Le tante storie che “Con l’Abruzzo nel cuore” racconta, riescono a trasmettere a chi guarda questo sentimento di smarrimento che deve aver provato chi, per la prima volta, sbarcava al di là dell’oceano, con una vita tutta da ricominciare.
Ma altrettanto appassionato è lo sguardo di chi ce l’ha fatta, di chi, costretto a fuggire dalla guerra, può guardarsi indietro, oggi, e provare soddisfazione, stretto attorno all’abbraccio di figli e nipoti.
Ascoltiamo le nuove generazioni di abruzzesi, ormai argentini di nascita, e in tutti non è difficile ritrovare un po’ di Abruzzo; nella fierezza dell’appartenenza e nell’amore per le tradizioni di un paese tanto lontano, quanto vicino nel cuore.
Non si lascia mai veramente casa propria, nemmeno andando dall’altra parte dell’oceano. E questo lo dimostrano i tanti centri culturali abruzzesi sparsi per tutto il paese sudamericano, dove la troupe incontra la signora Pannaccio.
In questi centri si svolgono attività ricreative e culturali, didattiche e convegni; vengono mantenute vive le tradizioni, si impara la cucina tradizionale abruzzese e i canti regionali.
Poi facciamo la conoscenza della famiglia Scenna. Il capostipite, partito da ragazzo, ci racconta, non senza un po’ di commozione, il suo arrivo in Argentina e di che cosa significhi realmente essere un emigrante.
“Quando ti trovi in un posto lontano da casa e sconosciuto”, dice Scenna, “l’unico punto fermo e sicuro è la famiglia”. Oggi lui sente di avere due case: l’Abruzzo e l’Argentina”.
Sua figlia dice che il padre le ha parlato così tanto dell’Italia e dell’Abruzzo e le ha trasmesso così tanto questa sua cultura di origine che lei si sente profondamente italiana.
Questo perché le radici che ci legano alla nostra terra sono solide e continuano a crescere dentro ognuno di noi.
Non si smette di essere abruzzesi, ma questo, per una persona forte e tenace come il signor Scenna, non significa avere delle barriere culturali nè geografiche.
Continuando il viaggio alla scoperta della cultura italiana in Argentina, ascoltiamo una storia di grande vittoria e riscatto.
Quella della famiglia Fioriti, che oggi manda avanti una grande azienda dove si producono tessuti.
Non si può non notare una certa soddisfazione nelle parole del signor Fioriti, che racconta di come oggi la sua azienda venda in tutto il paese e di come i suoi figli stiano continuando la sua fortunata tradizione tessile.
La troupe continua il suo viaggio fino alle zone più a sud dell’Argentina, dove incontra Vincenzo Racciatti, figlio di abruzzesi che arrivarono in sudamerica negli anni ‘40.
La sua famiglia è ormai alla quarta generazione di nati in Argentina.
Si torna poi a Buenos Aires, per un ultimo saluto. Attraverso i quartieri nuovi gremiti di grattacieli, fino alla parte più storica, fatta i palazzi colonici spagnoleggianti.
Ma Buenos Aires è anche la capitale del tango e, andando in giro per la città, non è difficile percepire il fascino di questa grande tradizione musicale e artistica. Il caffè Tortoni ne è un esempio: un luogo storico, frequentato in passato da artisti e intellettuali in qualche modo legati alla tradizione tangueira.
Un ultimo, significativo incontro prima di tornare in Italia, quello con la leader delle Madri di Plaza de Mayo.
La signora Hebe Bonafini si presenta con il suo caratteristico fazzoletto bianco in testa, simbolo delle donne del movimento e racconta del periodo del terrore che dal ‘73 al ‘76 ha mietuto migliaia di vittime, soprattutto tra i più giovani.
“La repressione dei dissidenti, da parte della dittatura militare di quegli anni”, dice la Bonafini, “ci ha portati via un’intera generazione di giovani e con loro, le speranze che ognuno di quei ragazzi aveva con sé”.
Viene fuori, nel corso dell’intervista, che tra i tanti desaparecidos ci fu anche il figlio di una donna aquilana.
È il momento dei saluti per la troupe di Di Giacomantonio, che viene accolta calorosamente da Maria Carzarelli, presidentessa dell’associazione abruzzese, per una festa in loro onore.
In un mix di due culture che anima la serata, tra cucina argentina e italiana, gli operatori vengono salutati dal coro della Majella, a Buenos Aires.
di Federica Diaz