Come sta andando il settore videogiochi in Italia? Abbiamo dato un’occhiata al Video Game Lab, il più grande evento italiano dedicato al gaming, e abbiamo chiesto ad Andrea Morini, docente di AIV e uno degli organizzatori di Level Up, di illustrare lo scenario italiano attuale
Dal 10 al 12 maggio si è tenuto il Video Game Lab 2019, il più grande evento dedicato ai videogiochi in Italia. Cinecittà è stata per tre giorni luogo di incontro per appassionati ed esperti del settore, che hanno dialogato con i più importanti professionisti della programmazione, del game design e della game art grazie alle conferenze organizzate da Level Up e Accademia Italiana Videogiochi.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Andrea Morini, direttore del corso di Grafica 3D di AIV e uno dei fondatori dell’Accademia, per capire a che punto è l’Italia in tema di videogiochi.
Andrea Morini, aiutaci a capire qual è lo scenario italiano del settore. Alcune ricerche hanno evidenziato un consolidamento e una stabilizzazione del comparto videoludico: si parla di un business che nel solo 2018 ha fatturato quasi 138 miliardi di dollari, 1,7 miliardi solo in Italia (ben 50% in più rispetto al 2016). A che punto siamo nel nostro paese?
Per quanto riguarda la vendita dei videogiochi, in Italia il mercato c’è ed è ben radicato. Così come quello dell’entertainment in generale: più c’è crisi e più cresce la spesa per l’intrattenimento. Come produzione di videogiochi invece siamo indietro: c’è tanta voglia di fare, tante persone si formano come professionisti del settore, creano la propria software house e propongono giochi. La parte complessa è venderli.
In Italia si stanno sviluppando molte case di produzione ma solo una è grande abbastanza da poter competere con i giganti internazionali, ed è la milanese Milestone. Le altre sono piccole ma agguerrite.
Tuttavia, rispetto al resto del mondo siamo indietro. Con uno dei nostri speaker poco fa si faceva l’esempio della Polonia: lì il governo ha dato 30 milioni di dollari per The Witcher. È chiaro che se si ha l’appoggio del governo la situazione cambia radicalmente.

Parliamo di supporto istituzionale. Oltre alla Polonia, ci sono altri paesi europei come la Germania o la Romania i cui governi hanno riconosciuto il valore del settore videoludico e ne hanno finanziato lo sviluppo. In Italia come siamo messi?
Dallo scorso anno ci sono in progetto sgravi fiscali per le aziende che operano nei settori cosiddetti “creativi”. Dialogare con le istituzioni non è mai semplice: la regione Lazio ad esempio non riconosce AIV come ente di formazione nonostante produciamo professionisti ormai da anni.
La formazione è cruciale per far entrare nel mercato professionisti preparati. Parlaci dell’Accademia Italiana Videogiochi, com’è nata la scuola?
Siamo partiti dall’idea di sviluppare videogiochi ma al tempo eravamo in quattro o cinque, troppo pochi per creare un gioco da zero. Abbiamo quindi pensato di formare le persone che avrebbero poi lavorato con noi. In pochissimo tempo però la formazione è diventata il core business, dato che abbiamo avuto sin da subito una grande richiesta. Ultimamente stiamo progettando di “tornare alle origini”, nel senso che abbiamo creato un publisher, vogliamo ricominciare a produrre e distribuire, e vogliamo fare da incubatori per i nostri migliori allievi, che ogni anno sviluppano dei giochi. In futuro torneremo sicuramente a produrre. Sono ben 15 anni che AIV fa formazione: impariamo dai nostri errori e miglioriamo ogni anno grazie ai feedback dei nostri studenti.
Quanti studenti avete al momento?
In tutti e tre gli anni, per tutti e tre i corsi, calcolando anche gli ex studenti che partecipano a corsi o workshop e contando anche gli studenti del corso di musica per videogiochi attivato insieme al Conservatorio Santa Cecilia superiamo le 300 unità tra studenti e studentesse.
Al di là del puro intrattenimento i videogiochi sono comunque una risorsa di business su più fronti. Il recente incendio che ha distrutto Notre Dame a Parigi ne è un esempio: è stato detto che il videogioco Assassin’s Creed potrebbe aiutare a ricostruire la cattedrale.
Il 3D è già impiegato con successo in diversi settori. Anche in Italia le istituzioni stanno iniziando ad aprirsi all’applicazione della realtà virtuale per la valorizzazione dei beni culturali: il Comune di Roma ad esempio sta già lavorando sul Circo Massimo… quindi l’applicazione di tecnologie impiegate anche nei videogiochi è una realtà.
In Italia spostare l’asse da un discorso del tipo “videogiochi come perdita di tempo” a “videogiochi come risorsa” – educativa, economica, culturale – sembra particolarmente difficile. Qual è la ricetta di AIV?
L’aspetto comunicativo va reimpostato completamente: un enorme danno lo creano coloro che collegano la violenza ai giocatori di videogiochi, una follia. È il motivo per cui abbiamo voluto che in questa seconda edizione del Level Up la dottoressa Maria Rita Mancaniello dell’Università di Firenze venisse a parlarci del ruolo dei videogame nell’età evolutiva.
Come AIV stiamo cercando di ottenere un riconoscimento istituzionale, per dare sempre più autorevolezza al settore videoludico. Questo permetterebbe innanzitutto di avere il famoso “pezzo di carta”, un diploma che riconosca i nostri ragazzi, una volta formati, come dei professionisti. Altra conseguenza non meno importante è quella di poter usufruire, come ente di formazione, di sgravi fiscali che possiamo poi reinvestire nel settore, creando così valore aggiunto.
Brava!! Se ne dovrebbe parlare di più…..