Questa mattina all’Auditorium del Parco il professor Raffaele Colapietra, eminente storico e studioso aquilano, è intervenuto al LoMaggio Fest parlando dell’Aquila, del “decennale prepotente” e del panorama italiano attuale con il brillante humor che lo contraddistingue.
Con la sua ormai conosciutissima e graffiante ironia, il Professor Raffaele Colapietra è intervenuto stamattina al LoMaggio Fest per parlare dell’Aquila in occasione dei dieci anni dal sisma. Ma come al solito accade durante gli incontri con lo storico aquilano, gli argomenti toccati sono stati molteplici e il pubblico è intervenuto con interesse per dire la sua.
Affiancato da Annalucia Bonanni e Mattia Fonzi, il professor Colapietra ha parlato di «Decennale prepotente», e ha riconosciuto di non aver partecipato a nessuna delle manifestazioni indette dalle istituzioni proprio per scelta:
«Si è parlato di inserire L’Aquila fra le 70 città più interessanti di tutta Europa. Ecco, la parola ‘interessante’ mi sembra ipocrita e calcolata, vuol dire tutto e niente. Per ricostruire veramente la città dovremmo vedere le cose in maniera più concreta modesta, senza grandi proclami del tipo ‘L’Aquila tornerà a volare’, che sono soltanto retorica».
L’importanza dell’Aquila infatti sta tutta nella sua storia, ed è da quella che si deve ripartire: «Tra la metà del ‘300 e la metà del ‘500 L’Aquila era una città ricchissima e potente. Ed era potente perché l’economia girava e c’era una vita sociale e comunitaria eccezionale».
«Dopo il terremoto del 1703» ricorda ancora Colapietra, «le persone sono rimaste all’Aquila, non c’è stata la dispersione che abbiamo avuto nel 2009, quando gran parte della popolazione è andata via dalla città per spostarsi prima sulla costa e poi nelle New Town. Ovviamente la situazione di allora era diversa, parliamo di 8.000/10.000 persone a fronte delle 70.000 di oggi» puntualizza lo storico «ma quello che si è avuto è una desertificazione della città, una totale assenza della popolazione attiva. Una situazione che dopo 10 anni è intollerabile».
L’attenzione si è poi spostata sulla politica nazionale e sulle polemiche sorte qualche giorno fa, in occasione di un 25 aprile ancora più divisivo rispetto agli anni passati.
«Ho saputo della Liberazione tramite Radio Londra. Io credo che il 25 aprile sia stata la vittoria non solo sui nazisti invasori ma anche sul fascismo: abbiamo combattuto per rinnegare una dittatura che ci aveva portato alla guerra».
Riguardo la Lega e Salvini, il giudizio di Colapietra è lapidario: «La Lega porta avanti ideali che sono tipici del nazismo: l’idea di essere parte di una ‘razza eletta’, l’astio nei confronti del diverso, sia esso straniero, omosessuale o appartenente a una minoranza etnica. Il tutto in netta contrapposizione degli insegnamenti del Vangelo, che predica la fraternità religiosa, e della democrazia».
«Che ora la dicitura ‘Nord’ non sia più parte del nome del partito non vuol dire che la mentalità sia cambiata. Sono sempre gli stessi nemici del sud, lo stesso sud che ora li osanna. Lo vediamo anche all’Aquila».
E riguardo la vita politica aquilana, Colapietra nota una marcatura di fondo: «Sin dagli anni ‘50, quando è scomparso il ceto medio contadino e artigiano, è emerso quel carattere tipico degli aquilani che si era manifestato forte anche durante il fascismo, ovvero quel rispetto supino, formalista e borghese, per le istituzioni, un modo di pensare un po’ retrogrado e tradizionalista. E questo si riflette inevitabilmente nella vita istituzionale e nel clima politico».
Un clima politico nazionale che sembra “bullizzare” il lavoro intellettuale, svilendo chi lo pratica con la definizione “radical chic” e facendo sembrare la cultura e la conoscenza, invece di essere un valore, siano motivo di vergogna.
«Il proposito di Togliatti era quello di rendere migliori gli italiani attraverso la cultura e questo è, va riconosciuto, un merito storico del Partito Comunista. Migliorarsi vuol dire confrontarsi con chi la pensa diversamente, in un modo costruttivo che porti al completamento di sé. Al giorno d’oggi,» conclude Colapietra «con la comunicazione di massa, l’individuo ha accesso a una montagna di informazioni che però non sa decodificare: in sostanza si sa tutto e non si conosce niente».