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Guerra India-Pakistan: Il Ritorno del Fantasma Nucleare tra Kashmir e Diplomazia Fallita

Un attentato terroristico, la sospensione di un trattato idrico del 1960 e missili oltre la Linea di Controllo. Le radici di un conflitto che minaccia di trascinare il mondo in una crisi senza precedenti.

Trentuno morti sotto le macerie di un’osteria a Kotli, nove villaggi evacuati lungo il fiume Chenab, 1.500 arresti nel Kashmir indiano. Sono i numeri crudi di una guerra che non osa pronunciare il proprio nome, ma che dal 22 aprile 2025 ha riportato India e Pakistan sull’orlo di un conflitto aperto, il quarto dal 1947. L’attentato di Pahalgam, con 28 turisti uccisi da un commando del Kashmir Resistance, è stato la miccia. Ma la polveriera era pronta da decenni, imbevuta di acque contese, rivendicazioni territoriali e calcoli geopolitici globali.

1947-2025: Il Peso della Storia su un Confine Insanguinato

Tutto inizia con una linea tracciata frettolosamente su una mappa nel 1947, quando il subcontinente indiano si divide tra India e Pakistan sulla base religiosa. Il Kashmir, a maggioranza musulmana ma governato da un maharaja induista, diventa l’epicentro di una disputa irrisolta. Due guerre (1947-48 e 1965) e decine di scontri minori cementano una rivalità che nel 1998 diventa nucleare: entrambi i paesi testano testate atomiche, trasformando ogni crisi in una potenziale catastrofe globale.

Il 5 agosto 2019, il premier indiano Narendra Modi revoca l’articolo 370 della Costituzione, privando il Kashmir dello status autonomo. Una mossa definita “annessione de facto” dal Pakistan, che risponde intensificando il sostegno a gruppi militanti come il Lashkar-e-Taiba, dietro all’attacco di Pahalgam. “Il Kashmir è la nostra arteria, e l’India vuole strozzarla”, accusa il ministro della Difesa pakistano Khawaja Asif.

22 Aprile 2025: La Strage che ha Fatto Esplodere la Crisi

Alle 10:47 di una mattina soleggiata, cinque uomini armati di AK-47 irrompono nella valle di Baisaran, meta di trekking a 30 km da Pahalgam. Il bilancio è di 28 morti, tra cui 24 turisti indù, 3 locali musulmani e un guide cristiano. Il Kashmir Resistance, gruppo ombra legato al Lashkar-e-Taiba, rivendica: “Fino all’ultimo soldato indiano lascerà il Kashmir, il fuoco non si fermerà”.

La reazione indiana è immediata: chiusura del valico di Attari-Wagah, espulsione di diplomatici pakistani e, soprattutto, sospensione del Trattato delle Acque dell’Indo (IWT), firmato nel 1960 con mediazione della Banca Mondiale. “L’acqua dell’India servirà al progresso dell’India”, annuncia Modi, minacciando di deviare i fiumi Chenab, Jhelum e Indo, che riforniscono il 90% dell’agricoltura pakistana4. Islamabad replica: “Un atto di guerra” e schiera i razzi Ghaznavi lungo la Linea di Controllo.

La Guerra dell’Acqua: Arma Strategica o Bluff?

L’IWT ha resistito a tre guerre, ma oggi vacilla. Il trattato assegna al Pakistan i tre fiumi occidentali (Indo, Chenab, Jhelum) e all’India quelli orientali (Ravi, Beas, Sutlej). Nuova Delhi sostiene di avere diritto a sfruttarli, ma finora ha rispettato i flussi. La sospensione cambia le regole: “Senza dati sulle piene, rischiamo carestie”, denuncia un funzionario pakistano.

Tuttavia, esperti del Center for Strategic and International Studies smorzano gli allarmi: “L’India non ha le dighe per bloccare l’Indo. Servirebbero 10 anni e 30 miliardi di dollari”. Intanto, il 6 maggio, l’Operazione Sindoor lancia nove missili su Kotli e Muzaffarabad, uccidendo tre civili. “Colpiamo basi terroristiche”, dice Delhi. “Menzogne”, ribatte Islamabad, mostrando foto di case distrutte.

La crisi è un banco di prova per l’ordine mondiale multipolare.

Gli Stati Uniti, alleati storici dell’India, condannano i missili come “vergognosi”, ma continuano a fornire armi. La Cina, partner strategico del Pakistan, invoca moderazione mentre rifornisce Islamabad di droni Wing Loong. “Pechino teme un’escalation che destabilizzerebbe il corridoio economico Cina-Pakistan”, spiega un analista di Singapore.

L’ONU tenta una mediazione. Il segretario generale António Guterres esorta a “un passo indietro dal baratro”, offrendo “buoni uffici”. Invito accolto con freddezza: Modi insiste sulla “sicurezza nazionale”, il Pakistan chiede un referendum nel Kashmir. Intanto, il 7 maggio, l’India avvia esercitazioni di difesa civile in sette stati, simulate non viste dal 1971.

Sul terreno, la popolazione paga il prezzo più alto.

Nel Kashmir indiano, 1.500 arresti arbitrari e demolizioni di case “sospette” creano un clima di terrore. “Viviamo sotto coprifuoco dal 2019”, racconta un attivista via Signal. “Ora con i missili, nessuno dorme”.

Oltre la Linea di Controllo, in Pakistan, 35 feriti negli ospedali di Muzaffarabad testimoniano la brutalità degli scontri. “Mio figlio è morto per un frammento di shrapnel indiano”, dice un padre, mostrando il corpo avvolto in un lenzuolo. Le ONG denunciano la carenza di farmaci e il blocco delle comunicazioni.

India e Pakistan possiedono insieme 340 testate atomiche.

I loro missili balistici (Agni-V indiano e Shaheen-III pakistano) hanno gittate superiori ai 2.000 km, capaci di colpire capitali nemiche in 12 minuti. “Un errore di calcolo potrebbe innescare l’impensabile”, avverte il direttore dell’Istituto di Studi Strategici di Islamabad.

La comunità internazionale brancola nel buio. La Russia propone un vertice a Soči, gli Emirati offrono mediazioni informali. Ma nessuno ha leve decisive: l’India rifiuta pressioni esterne sul Kashmir, il Pakistan gioca la carta cinese. Intanto, il mercato del grano globale trema: i due paesi producono il 25% del frumento mondiale.

La guerra India-Pakistan del 2025 non è un conflitto locale.

È il sintomo di un ordine mondiale in frantumi, dove vecchie rivalità si intrecciano a nuove ambizioni. L’attentato di Pahalgam ha solo reso visibile una verità scomoda: senza una soluzione al Kashmir, ogni tregua è precaria.

Guterres ha ragione: “Una soluzione militare non esiste”. Ma per costruire la pace, servirebbe coraggio: riconoscere il diritto all’autodeterminazione del Kashmir, come proposto dall’ONU nel 1948. Invece, si scava nelle trincee, mentre il mondo trattiene il respiro. Come scrisse il poeta Kashmiri Agha Shahid Ali: “La terra qui non ha memoria di pace. Solo cicatrici di guerra”.

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