Quando si pensa all’attuale crisi ambientale, si ragiona in termini di benessere e quest’ultimo include, per forza di cose, il settore alimentare; il “segreto” per vivere bene è una corretta alimentazione, la sicurezza su ciò che ingeriamo.
Banale sottolinearlo, anche se il problema sussiste, soprattutto nella società dei consumi: il modus operandi cittadino si dispone in una riqualifica degli esercizi commerciali, in grado di offrire un servizio immediato e, in teoria, più sicuro.

Se pensiamo ad un supermercato, puntiamo sulla qualità, il controllo del prodotto e della sua provenienza, ma non sempre è così; perlomeno, non agli occhi del consumatore, ignaro di alcune vicissitudini.
È sufficiente conoscere, ad esempio, la quantità di grano importata dall’estero: i nostri pregiati piatti di pasta sono spesso tutt’altro che italiani – nella sostanza – ed è un listino di marche e sottomarche a confermarlo.

Questo è solo un esempio banale e non ha necessariamente accezione negativa: è semplicemente il risultato della globalizzazione, con i suoi pregi e difetti; il fulcro del discorso è che non sempre è possibile avere una certezza su ciò che viene confezionato ed immagazzinato.
Medesimo discorso per la qualità del prodotto congelato, che resta una buona alternativa ma non la più nutriente.
C’è poco da fare: un alimento al cento per cento delle sue potenzialità è un alimento fresco.

Se si parla in particolar modo di frutta e verdura, il rischio di contaminazioni, importazioni incontrollate e relative conseguenze aumenta; e qual è il luogo migliore dove trovare – nella maggior parte dei casi – vegetali di qualità? Il mercato.

Questa mattina ho avuto il piacere di fare un giro presso il mercato di Piazza D’Armi; un luogo forse tra quelli più dimenticati, la cui posizione certamente non gioca a suo vantaggio. Oltre i banchi relativi al vestiario e gli accessori, troviamo invitanti raccolte di frutta, verdura, uova e latticini.
Prodotti genuini alla mercé di tutti, ma situati in uno spazio scomodo e in balia delle intemperie.

A detta di ogni commerciante, l’unico giorno di lavoro effettivo è il sabato; il loro sostentamento giornaliero si basa sul weekend. Inoltre, al minimo cenno di pioggia o vento, è logisticamente impossibile attrezzarsi o aspettarsi clientela.
Solo dopo aver elencato i suddetti problemi, la precarietà del contesto è già abbastanza chiara.

Chi tenta di portare avanti la tradizione, annaspa tra l’improvviso cambiamento climatico – e dunque la crisi del raccolto – e l’impossibilità di smerciare al meglio ciò che ha da offrire.
Si avverte la mancanza di una copertura, un classico mercato al chiuso – come accade in molte città; allo stesso tempo, il cittadino si pone una lecita domanda: la ragione per cui non venga disposto il suolo di Piazza Duomo.

Effettivamente i lavori al centro storico proseguono, ma la piazza è in disuso; la possibilità di ripopolarla è ghiotta.
Un simile provvedimento spronerebbe cittadini di tutte le età: dallo studente, che dovrebbe crescere con una cultura del biologico, al più anziano.

È un esempio estetico non da poco: l’immagine rosea di una città devota alle vecchie tradizioni – le più importanti -, in grado di risollevare le sorti di un Duomo costretto all’abbandono.
Decisamente equo, per chi lavora la terra e per chi preferirebbe dissentire dalla verdura congelata.

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