Madagascar, la Gen Z Fa Tremare il Potere: L’Esercito Si Unisce ai Manifestanti


Un’ondata di proteste guidate dalla Generazione Z ha travolto il Madagascar, portando a uno dei cambiamenti politici più drammatici nella storia recente dell’isola africana. Per tre settimane consecutive, migliaia di giovani malgasci sono scesi nelle strade della capitale Antananarivo e di altre città del paese, sfidando la repressione violenta delle forze dell’ordine per chiedere le dimissioni del presidente Andry Rajoelina. Tuttavia, la svolta decisiva è arrivata quando un’unità d’élite dell’esercito, il Capsat, ha platealmente rifiutato di sparare sui manifestanti e si è schierata al loro fianco, innescando una crisi costituzionale senza precedenti.
Le Radici della Rivolta: Acqua, Luce e Corruzione
Le proteste sono esplose ufficialmente il 25 settembre 2025, inizialmente motivate da problematiche concrete e quotidiane: i continui tagli alla fornitura di acqua ed elettricità che affliggono la popolazione malgascia da mesi. Infatti, solo un terzo della popolazione ha accesso regolare all’elettricità e i blackout durano abitualmente più di otto ore al giorno. Come racconta Terzo Giornale, “otto malgasci su dieci vivono, secondo la Banca Mondiale, in condizioni di povertà estrema”, una situazione che rende ancora più insostenibile la mancanza di servizi essenziali.
Tuttavia, quella che era iniziata come una protesta contro disagi concreti si è rapidamente trasformata in un movimento più ampio contro la corruzione sistemica, il nepotismo nelle istituzioni e la distanza della politica dai bisogni reali della popolazione. Come sottolineano i manifestanti attraverso il portale GenZ Madagascar, “la corruzione è una piaga che da sempre affligge il Paese”, ma la pazienza delle nuove generazioni si è esaurita di fronte a 16 anni di governo Rajoelina caratterizzati da promesse non mantenute e privilegi per pochi mentre la maggioranza sprofonda nella miseria.
Particolarmente eloquente è un dettaglio denunciato dai manifestanti: mentre la popolazione soffre per la carenza di acqua ed elettricità, i luoghi turistici che ogni anno ospitano centinaia di migliaia di visitatori non conoscono interruzioni nei servizi. Un’ingiustizia che simboleggia perfettamente le disuguaglianze contro cui i giovani malgasci si sono ribellati.
La Gen Z in Prima Linea: Digitale, Determinata e Senza Leader
La caratteristica più sorprendente di queste proteste è stata la capacità organizzativa della Generazione Z malgascia, che ha saputo utilizzare i social media e le piattaforme digitali per coordinare le manifestazioni, diffondere informazioni e aggirare la censura governativa. Come spiega Il Manifesto, il movimento è apparso “privo di leadership e di struttura politica formale ma si è saputo organizzare molto bene tramite i social media”. La protesta si diffonde attraverso il portale GenZ Madagascar e app di gaming come Discord, che conta 200 milioni di utenti attivi nel 2025.
Il simbolo che li rappresenta è lo stesso adottato dai movimenti giovanili di protesta in Nepal, Bangladesh, Indonesia e Kenya: la bandiera pirata con il teschio che indossa un cappello di paglia, ispirata al manga giapponese “One Piece”. Questa volta però, il cappello è quello tradizionale malgascio, a testimonianza di come un simbolo globale possa essere riappropriato e contestualizzato localmente. Come osserva Il Bo Live, “la prima generazione 100% digitale rifiuta le gerarchie tradizionali e i partiti politici” e sta guidando rivolte politiche e sociali in diversi angoli del mondo.
Tuttavia, sarebbe riduttivo interpretare le proteste esclusivamente attraverso una lente generazionale. Come sottolinea Africa Rivista, “in paesi dove i giovani rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione” – in Madagascar sette cittadini su dieci hanno meno di 35 anni e l’età media è inferiore ai vent’anni – parlare di protesta generazionale significa sostanzialmente parlare di un movimento di massa che coinvolge tutta la società. Infatti, la GenZ si è fatta “espressione di un malcontento ben più radicato e trasversale”, raccogliendo rapidamente adesioni da gruppi storici della società civile malgascia e dai maggiori sindacati del paese.
La Repressione Violenta e il Rifiuto del Dialogo
La risposta iniziale del governo Rajoelina alle proteste è stata brutale e spietata. Le forze dell’ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni, proiettili di gomma e, in alcuni casi, munizioni vere contro manifestanti in gran parte pacifici. Il bilancio è tragico: almeno 22 persone uccise, tra cui un neonato di appena un mese, e oltre cento feriti. Come ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk, è rimasto “scioccato” dalla risposta violenta delle forze di sicurezza malgasce: “Sono intervenute con una forza non necessaria, lanciando gas lacrimogeni, picchiando e arrestando i manifestanti. Alcuni agenti hanno anche usato munizioni vere”.
Di fronte all’escalation della protesta, il presidente Rajoelina ha tentato diverse strategie per disinnescare la crisi. Prima ha licenziato l’intero governo, scusandosi perché “alcuni funzionari non si erano rivelati all’altezza del loro mandato”. Poi ha proposto un dialogo con i manifestanti, ma la GenZ Madagascar ha risposto con un comunicato inequivocabile pubblicato su Facebook: “Rifiutiamo l’invito del presidente a dialogare. Non intendiamo dialogare con un regime che reprime, aggredisce e umilia i suoi giovani nelle strade”.
Anzi, mentre Rajoelina cercava di salvare la propria posizione, le autorità continuavano a reprimere il dissenso con violenza crescente. Come racconta Nigrizia, il presidente ha anche sciolto il Parlamento e nominato un generale dell’esercito come nuovo primo ministro, ma “nel frattempo le autorità hanno continuato a reprimere il dissenso”. Una strategia contraddittoria che ha ulteriormente indebolito la credibilità del governo e alimentato la rabbia popolare.
Il Momento della Svolta: Quando l’Esercito Dice No
La svolta decisiva è arrivata nel weekend del 12-13 ottobre, quando i soldati del Capsat – Corps d’administration des personnels et des services administratifs et techniques, un’unità d’élite dell’esercito malgascio – hanno abbandonato le caserme per unirsi ai manifestanti nelle strade di Antananarivo. In un video diffuso sabato mattina, i militari hanno dichiarato: “Uniamo le forze, militari, gendarmi e polizia, e rifiutiamo di essere pagati per sparare ai nostri amici, ai nostri fratelli e alle nostre sorelle”.
Come spiega Il Bo Live, i militari del Capsat “si sono platealmente rifiutati di obbedire all’ennesimo ordine di sparare sulla popolazione”, invitando le altre forze di sicurezza a fare altrettanto. Questo passaggio ha rappresentato un punto di non ritorno per il presidente Rajoelina, che ha immediatamente capito che le vie d’uscita alla crisi erano ormai chiuse. Infatti, quando l’esercito si schiera con il popolo contro il governo, nessun regime può sopravvivere a lungo.
Il colonnello Michael Randrianirina, comandante del Capsat, ha parlato pubblicamente sabato per chiedere le dimissioni del presidente, del primo ministro e dei vertici delle forze di sicurezza. Durante gli scontri con la polizia, un soldato dell’unità era stato ucciso, un fatto che aveva ulteriormente radicalizzato la posizione dei militari. Domenica, alti esponenti del Capsat hanno fatto sapere di aver rifiutato gli ordini statali e di aver preso il controllo delle forze armate: “D’ora in poi, tutti gli ordini alle forze malgasce – terrestri, aeree o militari – arriveranno dal quartier generale del Capsat”, hanno annunciato dalla base di Soanierana, alla periferia della capitale.
La Fuga del Presidente e il Colpo di Stato
Di fronte alla defezione dell’esercito e all’impossibilità di controllare la situazione, Andry Rajoelina ha scelto la via della fuga. Domenica 12 ottobre, il presidente ha lasciato il Madagascar a bordo di quello che diverse fonti indicano essere un aereo militare francese, probabilmente diretto in Francia dove Rajoelina possiede anche la cittadinanza. Come riporta Il Foglio, l’aereo sarebbe stato “inviato direttamente dal presidente francese Macron”, anche se l’Eliseo si è rifiutato di confermare ufficialmente.
Prima di fuggire, Rajoelina ha denunciato in un comunicato che “è attualmente in corso sul territorio nazionale un tentativo di prendere il potere illegalmente e con la forza, contrario alla Costituzione e ai principi democratici”. In un successivo intervento televisivo trasmesso con ore di ritardo – alcuni militari avevano tentato di assumere il controllo degli studi dell’emittente pubblica nazionale – il presidente ha dichiarato: “Sono stato costretto a trovare un luogo sicuro per proteggere la mia vita”, sostenendo che “un gruppo di militari e politici aveva pianificato di assassinarmi”.
Tuttavia, Rajoelina non ha annunciato le dimissioni, invitando invece all’avvio di un dialogo per risolvere pacificamente la crisi e ribadendo “la necessità di rispettare la Costituzione del Paese”. Una posizione che appare paradossale considerando che lo stesso Rajoelina era arrivato al potere nel 2009 proprio attraverso un colpo di stato sostenuto dall’esercito, che aveva deposto l’allora presidente Marc Ravalomanana.
La Risposta del Parlamento: Impeachment Storico
Mentre il presidente si trovava in una località sconosciuta – probabilmente in Francia o secondo alcune voci a Dubai – l’Assemblea Nazionale del Madagascar ha proceduto con una mossa senza precedenti. Lunedì 13 ottobre, nonostante Rajoelina avesse tentato di sciogliere il Parlamento con un decreto pubblicato su Facebook, la Camera bassa ha votato l’impeachment del presidente per “abbandono dei propri doveri” e diserzione dal servizio.
La risoluzione è stata approvata con 130 voti favorevoli su 163 membri, ben al di sopra della soglia costituzionale dei due terzi richiesta, rappresentando “una dura censura nei confronti del capo di Stato”. Come riporta il Fatto Quotidiano, “la decisione della Camera bassa del Parlamento del Madagascar per la destituzione del presidente è arrivata solo qualche ore dopo che questi aveva emesso un decreto per lo scioglimento immediato dell’Assemblea Nazionale”.
La presidenza ha immediatamente respinto il voto definendolo “privo di qualsiasi base giuridica”, ma ormai gli eventi avevano preso una piega irreversibile. Nel frattempo, anche il ministro delle Forze Armate, Manantsoa Deramasinjaka Rakotoarivelo, aveva riconosciuto come nuovo capo dell’esercito il generale Demosthene Pikulas, ufficiale scelto dal contingente militare del Capsat schierato con i manifestanti.
L’Insediamento del Colonnello Randrianirina

Il 17 ottobre, il colonnello Michael Randrianirina si è ufficialmente insediato come nuovo presidente del Madagascar durante una cerimonia alla quale hanno partecipato militari, politici, manifestanti della Gen Z e delegazioni straniere, incluse quelle di Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Francia. Nel suo discorso di insediamento, Randrianirina ha ringraziato “i giovani del movimento Gen Z per essere stati in prima linea nelle proteste” e ha sottolineato che l’esercito è intervenuto su richiesta dell’alta corte costituzionale per “evitare l’anarchia e il disordine”.
Il nuovo leader ha anche smentito di aver compiuto un colpo di stato, rispondendo alle critiche provenienti da parte della comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite. Nei giorni precedenti si era impegnato a organizzare elezioni entro 18-24 mesi e aveva assicurato che il paese “non sarà in mano a un regime militare” e che “il governo appartiene ai civili”.
Tuttavia, molti osservatori rimangono scettici su queste promesse. Come sottolinea il Corriere della Sera, “alla grande isola africana sfugge l’occasione di un vero cambio di stagione”. Il rischio concreto è che la Gen Z, dopo aver guidato coraggiosamente le proteste pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, venga “scippata” dei frutti della propria rivolta dall’esercito.
Il Paradosso Storico: Dal Golpe al Golpe
La vicenda presenta un paradosso storico particolarmente significativo. Come ricorda Il Foglio, “fu lo stesso esercito a sostenere Rajoelina nel 2009 con un colpo di stato” per destituire il presidente Ravalomanana. L’ammutinamento era partito proprio dalla base di Soanierana, la stessa da cui nel 2025 è partita la ribellione del Capsat contro lo stesso Rajoelina.
Dunque, colui che era arrivato al potere attraverso un colpo di stato militare sedici anni fa, si trova oggi deposto dallo stesso meccanismo che lo aveva portato alla presidenza. Nel frattempo, secondo la Banca Mondiale, il PIL pro capite del Madagascar è crollato del 45% dall’indipendenza del 1960 al 2020, dimostrando il fallimento totale della classe dirigente malgascia nel garantire benessere e sviluppo alla popolazione.
Il Madagascar sta attraversando “la sua peggior crisi politica proprio dal 2009”, con il 75% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. In questo contesto, la protesta della Gen Z rappresentava la speranza di una vera discontinuità, di un cambio di paradigma che mettesse al centro i bisogni della popolazione piuttosto che gli interessi delle élite militari e politiche.
Il Ruolo Controverso della Francia
Un altro elemento che ha alimentato polemiche è il ruolo giocato dalla Francia, ex potenza coloniale che ha mantenuto il Madagascar sotto il proprio controllo fino al 1960. Il fatto che Rajoelina sia fuggito probabilmente a bordo di un aereo militare francese ha riacceso le critiche verso l’ingerenza di Parigi negli affari interni dei suoi ex territori coloniali.

Come nota Il Manifesto, Emmanuel Macron si è rifiutato di confermare ufficialmente l’evacuazione del presidente malgascio, ma il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha dichiarato che “è cominciata la transizione”, invitando Randrianirina ad assicurare “la piena partecipazione dei civili a questo processo”. Una posizione che appare quantomeno ambigua: da un lato Parigi evacua il presidente fuggitivo, dall’altro chiede garanzie democratiche ai militari che hanno preso il potere.
Inoltre, la presenza di una delegazione francese all’insediamento di Randrianirina conferma come Parigi stia già lavorando per mantenere la propria influenza sul Madagascar indipendentemente da chi governi il paese. Una continuità che molti osservatori africani leggono come l’ennesima dimostrazione del neocolonialismo francese nell’Africa subsahariana.
Le Sfide Future: Democrazia o Autocrazia Militare?
Mentre il Madagascar affronta una delle crisi più profonde della sua storia post-coloniale, rimangono aperti interrogativi cruciali sul futuro del paese. La promessa del colonnello Randrianirina di organizzare elezioni entro 18-24 mesi e di garantire un governo civile verrà mantenuta, oppure si tratta solo di parole per placare la comunità internazionale mentre si consolida un regime militare?
Come osserva Africa Express, permane “il mistero su un colpo di Stato in corso”, con dinamiche ancora poco chiare tra militari, classe politica tradizionale e movimento della Gen Z. L’Unione Africana ha espresso “preoccupazione per i recenti sviluppi in Madagascar” e Air France ha sospeso i voli per l’isola fino a data da destinarsi, segnali che la situazione rimane estremamente fluida e imprevedibile.
La Gen Z malgascia ha dimostrato un coraggio straordinario nel sfidare a viso aperto il presidente, il governo e le forze di sicurezza che hanno risposto con violenza “fuori scala”. Eppure, come sottolinea Il Manifesto, i giovani che hanno guidato la rivolta rischiano di vedersela “scippata” dall’establishment militare, che potrebbe appropriarsi del risultato delle proteste senza garantire il reale cambiamento sistemico che i manifestanti chiedevano.
Un Modello per l’Africa o un Precedente Pericoloso?
La vicenda del Madagascar si inserisce in un’ondata globale di proteste guidate dalla Generazione Z che sta attraversando il pianeta. Come ricorda Il Bo Live, “in Bangladesh e in Nepal, oltre che ora in Madagascar, le loro proteste hanno portato al collasso dei governi”, mentre movimenti simili sono attivi in Perù, Filippine, Marocco e Kenya.
Tuttavia, come osserva Africa Rivista, esiste il rischio di una lettura superficiale di questi fenomeni attraverso categorie occidentali che non colgono le specificità locali. Parlare genericamente di “rivolta della Gen Z” può oscurare le profonde radici economiche, sociali e politiche di queste proteste, riducendole a un fenomeno generazionale quando invece rappresentano crisi sistemiche che coinvolgono intere società.
Pertanto, la domanda cruciale è se la rivolta malgascia rappresenti un modello positivo di empowerment giovanile capace di cambiare i destini di un paese, oppure un precedente pericoloso in cui proteste legittime vengono strumentalizzate da élite militari per sostituire un regime autoritario con un altro. La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro del Madagascar, ma anche l’interpretazione che altri movimenti giovanili africani daranno di questa esperienza.
Una Vittoria Incompiuta
Ebbene, mentre il mondo osserva con attenzione gli sviluppi in Madagascar, una cosa appare chiara: i giovani malgasci hanno scritto una pagina storica di coraggio e determinazione. Infatti, nonostante la repressione brutale che ha causato 22 morti, non si sono fermati e hanno continuato a riempire le piazze fino a quando l’esercito stesso ha dovuto riconoscere la forza del loro messaggio.
Come ha sottolineato il movimento GenZ Madagascar in un comunicato, “oggi, grazie alla tecnologia digitale e alla voce della Generazione Z, faremo sentire la nostra voce al tavolo del potere”. Questa promessa è stata in parte mantenuta: la voce dei giovani è stata ascoltata, tanto da far crollare un regime che sembrava inamovibile. Tuttavia, rimane da vedere se quella voce avrà davvero un posto “al tavolo del potere” o se verrà nuovamente esclusa dalle decisioni che conteranno.
Dunque, la storia del Madagascar rappresenta tanto una vittoria quanto un monito. Una vittoria perché dimostra che i giovani, anche nei paesi più poveri e isolati, possono sfidare il potere quando si organizzano efficacemente e mantengono la determinazione. Un monito perché ricorda che far cadere un regime autoritario è solo il primo passo: costruire una vera democrazia richiede vigilanza costante affinché nuove élite non si approprino dei frutti di una rivolta popolare.
Pertanto, mentre il colonnello Randrianirina si insedia come nuovo presidente promettendo elezioni e governo civile, milioni di malgasci – e in particolare i giovani della Gen Z che hanno pagato il prezzo più alto per questo cambiamento – osservano con speranza mista a scetticismo. Infatti, come recita un proverbio malgascio, “non basta cambiare il tetto se le fondamenta della casa sono marce”. Solo il tempo dirà se questa rivoluzione avrà saputo cambiare davvero le fondamenta del potere in Madagascar, oppure se si sarà limitata a sostituire un’élite corrotta con un’altra.