Italia e Palestina: La Svolta di Meloni tra Pressioni di Piazza e Equilibri Internazionali

In un momento cruciale per la diplomazia internazionale, l’Italia si trova a dover ridefinire la propria posizione sulla questione palestinese mentre crescono le pressioni dell’opinione pubblica interna e l’isolamento rispetto ai partner europei. Il governo Meloni, infatti, ha annunciato una svolta significativa nel proprio approccio diplomatico, proponendo una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina che rappresenta tanto un’apertura quanto un tentativo di mediazione tra le diverse spinte politiche e sociali che attraversano il paese.

Una Posizione in Evoluzione: Dalle Resistenze all’Apertura Condizionata
Fino a pochi mesi fa, l’Italia manteneva una linea di estrema cautela sulla questione palestinese, preferendo attenersi alla formula diplomatica classica della “soluzione dei due Stati” senza tuttavia compiere passi concreti verso il riconoscimento. Come osservato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, la posizione italiana si basava sul principio che “non possiamo riconoscere uno Stato dove ci sia la presenza di Hamas”, sottolineando la necessità di condizioni specifiche prima di qualsiasi passo formale.
Tuttavia, il quadro è mutato radicalmente con l’intensificarsi del conflitto a Gaza e soprattutto con l’ondata di riconoscimenti dello Stato palestinese da parte di paesi europei chiave. Francia, Regno Unito, Spagna, Norvegia, Irlanda, Slovenia, Canada e Australia hanno infatti deciso di riconoscere formalmente la Palestina, creando una pressione diplomatica crescente sui paesi rimasti indietro.
La pressione si è fatta ancora più intensa quando l’Alta rappresentante dell’UE per la Politica Estera, Kaja Kallas, ha dichiarato esplicitamente che “se parliamo di una soluzione a due Stati, allora devono esserci due stati” e che “la maggior parte dei Paesi europei riconosce la Palestina”. Questa affermazione ha reso evidente che l’Italia rischiava di trovarsi isolata rispetto al mainstream europeo, perdendo credibilità come “Paese promotore di diritti e stabilità in Medio Oriente e nel Mediterraneo”.
Il Discorso all’ONU: Tra Aperture e Rigidità

Durante il suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Giorgia Meloni ha delineato una posizione che segna una chiara evoluzione rispetto al passato. La premier ha infatti riconosciuto che “Israele ha superato il limite con una guerra su larga scala che sta coinvolgendo oltre misura la popolazione civile palestinese”, pur ribadendo che “è Hamas ad aver scatenato il conflitto”.
Ma soprattutto, Meloni ha chiarito che “Israele non ha il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese, né di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo”. Questo rappresenta una svolta significativa rispetto alle precedenti dichiarazioni governative, che si limitavano a invocare la pace senza entrare nel merito dei diritti palestinesi.
Tuttavia, il riconoscimento proposto dall’Italia presenta caratteristiche peculiari rispetto agli altri paesi. Come ha spiegato la stessa Meloni, la mozione italiana prevede “due precondizioni irrinunciabili: il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e la rinuncia da parte di Hamas ad avere qualsiasi ruolo nel governo della Palestina”. Un approccio che l’opposizione italiana ha già definito un “espediente tardivo”, mentre lavora a una mozione unitaria per un riconoscimento incondizionato.
La Pressione dell’Opinione Pubblica: 500.000 in Piazza
Uno dei fattori determinanti nella svolta della posizione italiana è stata l’intensificazione della pressione dell’opinione pubblica. Lo sciopero generale del 22 settembre 2025 ha portato in piazza circa 500.000 persone in tutta Italia, dimostrando un sostegno trasversale alla causa palestinese che attraversa diversi elettorati politici. Come riportato da diversi sondaggi citati dai principali quotidiani, cresce il numero di italiani favorevoli al riconoscimento dello Stato palestinese, indipendentemente dall’orientamento politico.
Le manifestazioni, definite dall’Unione Sindacale di Base come risposta al “genocidio in corso nella Striscia di Gaza, il blocco degli aiuti umanitari da parte dell’esercito israeliano e le minacce contro la missione internazionale Global Sumud Flotilla”, hanno dimostrato l’intensità del sentimento pubblico contro la guerra. Inoltre, il movimento pro-Palestina ha organizzato decine di eventi in tutto il paese, quasi tutti caratterizzati da un approccio pacifico ma determinato nel chiedere un cambio di rotta della politica estera italiana.
Questa mobilitazione ha colto di sorpresa lo stesso governo, che si è trovato a dover gestire una pressione dal basso mai vista prima su questioni di politica estera. Come osserva Lorenzo Pregliasco, esperto di sondaggi citato da Euronews, per Meloni la questione Palestina “è una coperta corta”, con la premier che deve tentare di conciliare la propria linea atlantista con la crescente pressione pubblica.
Il Caso Flotilla: Diplomazia e Polemiche
Un episodio che ha ulteriormente complicato la posizione del governo italiano è stata la gestione della controversia sulla Global Sumud Flotilla, la missione internazionale diretta a portare aiuti umanitari a Gaza. Dopo gli attacchi subiti dalla flotilla e la presenza di parlamentari italiani a bordo, Meloni ha dovuto bilanciare la condanna dell’attacco con una critica severa all’iniziativa stessa.
La premier ha definito l’iniziativa “gratuita, pericolosa, irresponsabile”, sostenendo che “non c’è bisogno di infilarsi in un teatro di guerra per consegnare degli aiuti a Gaza” e accusando implicitamente i parlamentari dell’opposizione di aver “costretto le istituzioni a lavorare per loro”. Tuttavia, ha anche proposto una via alternativa: consegnare gli aiuti a Cipro per poi farli arrivare a Gaza attraverso il patriarcato latino di Gerusalemme, con la garanzia del governo israeliano.
La proposta ha ricevuto il plauso di Israele, con la viceministra degli Esteri israeliana Sharren Haskel che ha elogiato Meloni definendola “più realistica” di Macron e sottolineando che “capisce meglio i problemi del Medio Oriente”. Allo stesso tempo, però, le autorità israeliane hanno accusato la flotilla di essere “finanziata e organizzata da persone affiliate a Hamas”, una linea che in parte coincide con le critiche del governo italiano.
L’Isolamento Europeo e le Relazioni Atlantiche
La posizione italiana sulla Palestina deve essere letta nel contesto più ampio delle relazioni internazionali del paese. Da un lato, l’Italia cerca di mantenere il forte legame atlantico con gli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump ha chiarito di essere “assolutamente contraria” al riconoscimento dello Stato palestinese. Dall’altro, rischia un isolamento crescente in Europa, dove la maggior parte dei partner ha già compiuto il passo del riconoscimento.
Come evidenziato dai media arabi, Meloni è ormai considerata “l’ultimo baluardo contro l’imposizione di dure sanzioni europee nei confronti di Israele”. Al-Jazeera e altri media panarabi hanno sottolineato le contraddizioni della posizione italiana, osservando come le dichiarazioni su un riconoscimento “controproducente” contrastino con la tendenza europea generale.
Infatti, mentre Regno Unito, Francia, Canada, Australia e altri paesi hanno compiuto una scelta “in rottura con decenni di politica estera occidentale”, l’Italia continua a mantenere una posizione di cautela che alcuni interpretano come “subalternità” più che come “prudenza diplomatica”. Come osserva Left.it, “l’Italia, con la sua frenesia atlantista ha inoltre costantemente attuato un atteggiamento di complicità nel genocidio commesso da Israele”, non votando mai risoluzioni ONU per il cessate il fuoco fino all’ultimo periodo.
Il Voto ONU e le Contraddizioni della Diplomazia Italiana
Un segnale significativo della confusione che caratterizza la diplomazia italiana è emerso dal voto favorevole dell’Italia alla risoluzione ONU che chiede la creazione di uno Stato di Palestina libero da Hamas. La risoluzione, presentata da Francia e Arabia Saudita e cosponsorizzata dall’Italia, stabilisce che “Hamas deve liberare tutti gli ostaggi” e condanna “gli attacchi commessi da Hamas contro i civili il 7 ottobre”.
Tuttavia, questo voto favorevole in sede ONU contrasta con le resistenze mostrate dal governo sulla questione del riconoscimento bilaterale. Come osserva il Manifesto, “l’effettivo riconoscimento verrà poi effettuato in base alla libera sovranità degli Stati”, lasciando spazio a interpretazioni diverse sulla coerenza della posizione italiana.
Le opposizioni hanno immediatamente colto questa contraddizione, con Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle che hanno annunciato di non voler votare la mozione governativa, considerandola “un espediente tardivo”. Inoltre, stanno lavorando a una mozione unitaria per il riconoscimento immediato e incondizionato dello Stato palestinese, che verrà presentata quando Tajani si recherà in Parlamento per le comunicazioni sulla situazione a Gaza, probabilmente il 2 ottobre.
Le Complicazioni della Questione Armamenti
Un aspetto che complica ulteriormente la posizione italiana è la questione del commercio di armi con Israele. Come denuncia Il Manifesto, “l’Italia vende le armi a Israele e da Israele le compra, avendo quintuplicato le importazioni proprio in questi due anni di genocidio in corso”. Questo dato solleva interrogativi sulla coerenza tra le dichiarazioni politiche e le scelte economiche concrete del governo.
Benché Meloni abbia dichiarato che l’Italia è “pronta ad approvare le sanzioni proposte dalla Commissione UE e valuta possibili sanzioni finanziarie”, la realtà del commercio bilaterale di armamenti racconta una storia diversa. Infatti, mentre a parole si invoca la pace e si critica l’operato israeliano, nei fatti l’Italia continua a fornire componenti militari che potrebbero essere utilizzati nel conflitto a Gaza.
Questa contraddizione non sfugge ai movimenti per la pace, che tra le loro richieste principali includono “un divieto all’esportazione dall’Italia di armi e componenti militari verso Israele”. La questione diventa ancora più delicata considerando che, secondo alcune stime, l’industria italiana della difesa ha incrementato significativamente le esportazioni verso Israele proprio durante il periodo di maggiore intensità del conflitto.
Verso il Riconoscimento: Tempi e Modalità
La mozione annunciata da Meloni dovrebbe essere votata in Parlamento probabilmente il 2 ottobre, quando il ministro Tajani si recherà in aula per le comunicazioni sulla situazione a Gaza. Tuttavia, l’esito del voto appare incerto, giacché l’opposizione ha già annunciato il proprio dissenso sulla versione “condizionata” proposta dal governo.
La sfida per Meloni sarà quindi duplice: da un lato dovrà convincere la propria maggioranza della necessità di compiere questo passo, dall’altro dovrà cercare di trovare una formula che non alieni completamente l’opposizione. Infatti, un riconoscimento della Palestina approvato solo con i voti della maggioranza rischierebbe di apparire più come una mossa tattica che come una vera svolta strategica della politica estera italiana.
Inoltre, resta da vedere come reagiranno gli alleati internazionali dell’Italia. Gli Stati Uniti potrebbero interpretare anche un riconoscimento condizionato come un allontanamento dalla linea atlantica, mentre Israele potrebbe considerare qualsiasi forma di riconoscimento come un tradimento, nonostante le condizioni poste dal governo italiano.
Il Futuro della Diplomazia Italiana in Medio Oriente
La questione palestinese rappresenta un test cruciale per la credibilità internazionale dell’Italia e per la sua capacità di mantenere un ruolo di primo piano nella diplomazia mediterranea. Come sottolinea l’analisi pubblicata su Info Cooperazione, “non aderire al riconoscimento rischia di isolare l’Italia rispetto a un movimento globale che punta a riconoscere i diritti fondamentali dei palestinesi”.
D’altra parte, un riconoscimento troppo affrettato o condizionato potrebbe apparire come una mossa di facciata, senza reale impatto sulla situazione sul campo. La sfida per il governo Meloni è quindi trovare un equilibrio che permetta all’Italia di mantenere la propria influenza regionale senza compromettere le relazioni strategiche con Stati Uniti e Israele.
Ebbene, mentre l’opinione pubblica italiana si mobilita sempre più decisamente a favore dei diritti palestinesi e l’Europa si muove compatta verso il riconoscimento, l’Italia si trova a un bivio storico. La scelta che verrà compiuta nelle prossime settimane non influenzerà solo i rapporti bilaterali con Israele e Palestina, ma definirà anche il ruolo futuro dell’Italia nel Mediterraneo e la sua credibilità come paese promotore dei diritti umani e della pace internazionale.
Dunque, la mozione sul riconoscimento della Palestina rappresenta molto più di un atto diplomatico: è il simbolo di come un paese democratico debba saper conciliare le pressioni della piazza con gli equilibri internazionali, mantenendo coerenza tra valori dichiarati e azioni concrete. Infatti, il modo in cui l’Italia gestirà questa transizione determinerà non solo la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese, ma anche la sua capacità di essere protagonista attiva nella costruzione di un ordine internazionale più giusto ed equilibrato. Pertanto, mentre il 2 ottobre si avvicina, tutti gli occhi sono puntati su Palazzo Chigi e su una decisione che potrebbe segnare una svolta epocale nella politica estera italiana.