Venezuela, lo Scacchiere Geopolitico dietro l’Operazione “Southern Spear”

Nelle acque del Mar dei Caraibi, a circa 50 chilometri dalle coste del Venezuela, si sta sviluppando uno dei momenti di maggiore tensione geopolitica degli ultimi decenni. L’amministrazione Trump ha lanciato l’operazione “Southern Spear”, presentata ufficialmente come una campagna contro il narcotraffico e i cosiddetti “narco-terroristi”, ma che rappresenta in realtà qualcosa di molto più vasto: un tentativo di trasformazione geopolitica dell’intera regione sudamericana. Per comprendere le vere ragioni di questa escalation, è necessario guardare oltre il paravento della “lotta alla droga” e interrogarsi su cosa realmente muove Washington verso il Venezuela di Nicolás Maduro.
Il Paravento della Droga: Quando il Narcotraffico Diventa Pretesto
Ufficialmente, il governo americano sostiene di agire per proteggere gli Stati Uniti dal fentanilo e dalle altre droghe provenienti dal Venezuela e dalla Colombia. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha dichiarato che la missione mira a “proteggere la nostra Patria dalla droga” e “rimuovere i narco-terroristi dal nostro emisfero”. Si tratta di un argomento potente dal punto di vista domestico: la crisi del fentanilo negli USA ha raggiunto dimensioni epidemiche, causando decine di migliaia di morti ogni anno.
Tuttavia, come osservano gli analisti geopolitici, il pretesto del narcotraffico non regge ad uno scrutinio attento. Infatti, dall’inizio della campagna di attacchi iniziata ad agosto 2025, gli americani hanno lanciato 20 operazioni militari che hanno ucciso almeno 80 persone, la maggior parte delle quali risulterebbero essere civili. Come sottolinea El Diario, gli Stati Uniti stanno conducendo quello che chiama “intervencionismo barato” – un’intervento a buon mercato – attraverso operazioni non dichiarate e teoricamente inquadrabili all’interno di un conflitto armato “non internazionale”.
Dunque, mentre il paravento della droga viene agitato dalle autorità di Washington, gli analisti hanno identificato motivazioni più profonde e durature che spiegano l’intensità di questa pressione verso il Venezuela.
Il Petrolio: La Vera Posta in Gioco
Dietro l’operazione “Southern Spear” si cela una questione che gli americani hanno sempre considerato di importanza strategica vitale: il controllo delle risorse energetiche dell’America Latina. Il Venezuela possiede infatti le maggiori riserve provate di petrolio al mondo, un patrimonio stimato in 296 miliardi di barili. Durante i decenni della Guerra Fredda, Washington controllava praticamente esclusivamente l’accesso a queste risorse attraverso regimi alleati; oggi, tuttavia, la situazione è radicalmente diversa.
La Cina ha investito oltre 67 miliardi di dollari in progetti petroliferi venezuelani a partire dagli anni Novanta, quando Hugo Chávez nazionalizzò il settore. Pechino ha costruito infrastrutture, fondato joint venture e, soprattutto, ha legato il Venezuela a sé attraverso un debito energetico che non potrà mai essere completamente saldato. Come risultato, il controllo cinese sul petrolio venezuelano rappresenta una perdita incalcolabile di influenza geopolitica per gli Stati Uniti.

Trump ha confermato più volte la centralità della questione petrolifera. Secondo James Comey, ex direttore dell’FBI, Trump gli avrebbe dichiarato che il governo di Maduro era “un governo seduto su una montagna di petrolio che noi dobbiamo comprare”. Inoltre, quando Maduro ha offerto in secreto “tutto, incluse le risorse naturali” per evitare il conflitto, Trump lo ha confermato pubblicamente: “Ha offerto di tutto… perché non vuole farsi fottere dagli Stati Uniti”.
Tuttavia, c’è un’apparente contraddizione: Trump ha dichiarato di “revocare la licenza Chevron e non avere bisogno del petrolio venezuelano”. Ma questa affermazione, secondo gli analisti, rappresenta una mossa tattica piuttosto che una sincera disinteresse verso le risorse venezuelane. Infatti, come spiega Proversi, lo scopo non è acquisire il petrolio nel breve termine, bensì garantire a lungo termine che quegli idrocarburi non rimangano sotto il controllo di rivali strategici come la Cina e la Russia.
La Dottrina Monroe Rivisitata: emisfero Americano come Sfera d’Influenza
Un elemento cruciale per comprendere la strategia Trump verso il Venezuela è la riesumazione della Dottrina Monroe, quella vecchia concezione imperialista secondo cui l’America Latina costituisce una “sfera di influenza naturale” degli Stati Uniti. Trump ha esplicitamente invocato questa dottrina, affermando recentemente che il Canada “appartiene” agli Stati Uniti, segnalando un ritorno a visioni geopolitiche tipiche dell’America del XIX e XX secolo.
Come osserva lo stesso Maduro, l’operazione americana mira a “trasformare la nostra America in teatro di invasioni e colpi di Stato per ‘cambiare regime’ e rubare le nostre immense ricchezze e risorse naturali”. Pure i documenti strategici americani confermano questa interpretazione: il Venezuela è percepito come un’area dove Washington ha il “diritto” di intervenire, specialmente quando manca di un governo amico.

L’arrivo della portaerei USS Gerald Ford, la più grande al mondo, rappresenta un’affermazione di questa supremazia. Con 75 aerei imbarcati e capacità di proiezione del potere impressionanti, la nave simboleggia la possibilità concreta di uno scenario di conflitto aperto. Infatti, secondo le rivelazioni di CBS, sul tavolo di Trump ci sarebbero “nuove opzioni militari inclusa invasione via terra”, con la possibilità di attacchi aerei e missilistici contro Caracas.
Una Crisi Multidimensionale: Interno Americano, Competizione Globale, Diritti Umani

Le motivazioni dell’amministrazione Trump verso il Venezuela sono molteplici e interconnesse. Dal punto di vista domestico, Trump vuole dimostrare di controllare il flusso di fentanilo – una droga che ha devastato il territorio americano – e di gestire efficacemente l’immigrazione, visto che il Venezuela produce sia narcotrafficanti che migranti. Politicamente, Trump soffre di “una forte caduta di popolarità nelle encuestas”, pertanto una mozione di forza nel suo “cortile” geopolitico serve a ripristinare l’immagine di presidente forte e determinato.
Dall’angolo di vista geopolitico globale, gli Stati Uniti affrontano una sfida strutturale: la perdita di egemonia in una regione dove hanno dominato incontrastati per oltre un secolo. La Cina non solo controlla il petrolio venezuelano, ma usa il Venezuela – e la sua prossimità ai Caraibi e al Canale di Panama – come snodo cruciale per il commercio con l’America Latina. La Russia, dal canto suo, ha posizionato forze e influenza in Venezuela, stabilendo una presenza militare e di intelligence che Washington considera inaccettabile nella sua sfera di influenza.
Inoltre, il regime di Maduro è indubbiamente autoritario e responsabile di violazioni gravi dei diritti umani. Anzi, come ha dichiarato l’ex difensora civile venezuelana Gabriela Ramírez – chavista pentita – “un intervento esterno potrebbe essere necessario per porre fine allo sfacelo nazionale”. Tuttavia, come sottolineano critici della posizione americana, usare la retorica dei diritti umani per giustificare un intervento militare è una pratica della quale gli USA hanno un precedente inquietante: da Baghdad a Tripoli, i diritti umani sono spesso stati il paravento per guerre di aggressione.
La Risposta del Venezuela: Preparazione alla Resistenza
Di fronte alla minaccia americana, Caracas si sta preparando alla resistenza armata. Maduro ha ordinato il dispiegamento di 200.000 soldati per esercitazioni che simulano una difesa prolungata del paese. Secondo il Corriere della Sera, il Venezuela starebbe preparando una strategia di guerriglia “stile Vietnam”, con unità militari disseminate in oltre 280 punti del territorio nazionale.
Inoltre, Maduro ha richiesto assistenza a Russia, Cina e Iran. Mosca ha dichiarato di avere una “solidarietà incrollabile” verso il Venezuela e di essere “pronta a rispondere in modo appropriato alle richieste di Caracas”. La Russia possiede anche armi sofisticate che potrebbe fornire, trasformando il Venezuela in una possibile zona di confronto indiretto fra grandi potenze.
Le Conseguenze Potenziali: Dal Cambio di Regime al Caos Regionale
Se gli Stati Uniti procedessero con un’invasione via terra, le conseguenze sarebbero enormi e impredittibili. Uno scenario realistico implicherebbe attacchi aerei coordinati contro obiettivi militari, l’installazione di un governo fantoccio favorevole a Washington – probabilmente guidato da María Corina Machado – e un’inevitabile resistenza militare prolungata.
Tuttavia, esiste un problema altrettanto significativo: una volta rovesciato Maduro, chi governerebbe il Venezuela? Le forze armate venezuelane non avrebbero capacità di resistere agli USA per lunghi periodi, ma parte dell’esercito bolivariano potrebbe facilmente “riconvertirsi in gruppi di guerriglia combattendo contro un governo instaurato da Washington”, generando una guerra civile prolungata. Inoltre, la Cina potrebbe reclamare i diritti sui giacimenti di petrolio sui quali ha investito 67 miliardi di dollari, complicando ulteriormente il quadro post-intervento.
Pertanto, il vero interrogativo che emerge è: gli Stati Uniti sono disposti a affrontare uno scenario di conflitto prolungato nei Caraibi, con Russia e Cina pronte a supportare il Venezuela, per ristabilire la propria egemonia geopolitica? Oppure la minaccia rappresentata dall’operazione “Southern Spear” rappresenta principalmente una leva diplomatica per ottenere concessioni da Caracas?



