COP30 a Belém: L’Assenza dei Grandi Inquinatori Mette in Crisi la Cooperazione Climatica Globale

La trentesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si è aperta a Belém, in Brasile, immersa in un paesaggio paradossale: riunioni sulla salvaguardia dell’Amazzonia nel cuore della foresta tropicale minacciata dalla deforestazione. Tuttavia, il vero dramma non risiede nella geografia scelta, bensì nella geografia politica degli assenti. Infatti, mentre rappresentanti di quasi 200 paesi si raccolgono per discutere di come affrontare il riscaldamento globale, i leader dei tre maggiori inquinatori del mondo – Stati Uniti, Cina e India – hanno scelto di rimanere lontani da Belém, trasformando il vertice in quella che molti definiscono “una conferenza senza i veri responsabili“.
Un’Assenza Eloquente: Quando l’Astensione È un Messaggio Politico
La decisione dell’amministrazione Trump di non inviare alcun rappresentante di alto livello a Belém rappresenta un’escalation rispetto ai precedenti: non si tratta semplicemente di una scarsa partecipazione, bensì di una defezione totale dalle negoziazioni climatiche internazionali. Come ha sottolineato il Commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra, questa assenza è un “momento spartiacque” nella storia della diplomazia ambientale.
Trump ha già confermato che gli Stati Uniti si ritireranno ufficialmente dall’Accordo di Parigi nel gennaio 2026, mantenendo così la promessa fatta a inizio anno di abbandonare i vincoli internazionali sulla riduzione delle emissioni. Una mossa che replica il gesto compiuto durante il primo mandato presidenziale nel 2017, quando per la prima volta nella storia contemporanea una grande potenza si ritirava da un accordo climatico multilaterale. Allora era stato Joe Biden, successore di Trump, a ripristinare l’impegno americano; questa volta, tuttavia, non è chiaro se il suo eventuale successore farà altrettanto.

La Cina, dal canto suo, ha inviato il vicepremier Ding Xuexiang – una scelta che rappresenta una “presenza simbolica” piuttosto che un vero impegno diplomatico. L’India, infine, ha mandato soltanto il proprio ambasciatore in Brasile, un’assenza ancora più palese considerando che Delhi è il terzo inquinatore mondiale. Questa triplice defezione non è accidentale, bensì rappresenta una chiara dichiarazione: i maggiori responsabili del cambiamento climatico hanno scelto di sottrarsi al tavolo delle trattative.
Il Contesto: A Dieci Anni da Parigi, il Fallimento È Evidente
La COP30 assume particolare rilevanza giacché cade nel decimo anniversario dell’Accordo di Parigi, firmato nel 2015 quando quasi 200 paesi si impegnarono collettivamente a limitare il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, questo anniversario non è causa di celebrazioni, bensì di recriminazioni: secondo i dati più recenti, la comunità internazionale ha completamente fallito nel raggiungere questo obiettivo.
Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) traccia uno scenario desolante: se gli stati manterranno gli impegni già assunti, le temperature raggiungeranno comunque un aumento di 2,3-2,5 gradi centigradi entro fine secolo, ben oltre i limiti fissati dieci anni fa. Inoltre, secondo il Servizio Copernicus dell’Unione Europea, il 2025 è già probabilmente il secondo o terzo anno più caldo della storia registrata, e gli ultimi undici anni sono stati gli undici più caldi mai documentati.

Come ha dichiarato António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, l’assenza di azioni concrete rappresenta un “fallimento morale”. Anzi, secondo il rapporto UNEP, la soglia dei 1,5 gradi verrà superata entro il prossimo decennio, seppure temporaneamente. Dunque, mentre i leader gridano all’urgenza, il tempo stringe: secondo le stime, occorrerebbero riduzioni del 26% nelle emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 solo per mantenere il superamento della soglia entro margini accettabili.
L’Ipocrisia dei Numeri: Chi Inquina Davvero
I dati raccontano una storia che confuta qualsiasi tentativo di pareggiare le responsabilità. Secondo il Centro comune di ricerca dell’Unione Europea, Cina, Stati Uniti e India sono responsabili di quasi il 50% delle emissioni globali. In contrasto, l’Unione Europea – nonostante sia il principale finanziatore della transizione climatica globale – contribuisce solo per il 5,9% alle emissioni totali. Pure la Cina, pur essendo il principale inquinatore, è contemporaneamente il leader mondiale nello sviluppo delle energie rinnovabili, creando una situazione paradossale dove il paese responsabile della maggior parte delle emissioni è anche quello che più massicciamente investe in tecnologie pulite.
Tuttavia, come sottolineano i critici, questa performance non redime Pechino dai suoi complessivi impegni climatici. Infatti, mentre la Cina costruisce pannelli solari ed è leader nella batteria dei veicoli elettrici – tecnologie che esporta in tutto il mondo – continua contemporaneamente a costruire impianti a carbone e ad espandere la propria capacità fossile. Una contraddizione che riflette la strategia cinese di dominare sia l’economia delle fonti fossili che quella delle energie rinnovabili, garantendosi profitti comunque vada la transizione energetica globale.
Europa Sola: Quando la Virtù Diventa Vulnerabilità

Nel vuoto lasciato dagli Stati Uniti, dalla Cina e dall’India, l’Unione Europea si presenta come l’ultimo baluardo della cooperazione climatica internazionale. Come ha dichiarato Ursula von der Leyen, l’UE intende “tenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi” e cercare “nuovi fondi per i paesi più vulnerabili”. Inoltre, Bruxelles arriva a Belém con un record: ha investito 42,7 miliardi di euro nella transizione energetica nel 2024, confermando il suo ruolo di principal finanziatrice globale della lotta climatica.
Tuttavia, questa dedizione europea ha un prezzo politico crescente. Come osserva Rivista Studio, in molti paesi europei cresce l’accusa secondo cui l’impegno ambientale europeo trasforma l’UE in un “bancomat globale”, una critica alimentata dalle lobby dei combustibili fossili che cercano di delegittimare le politiche verdi come causa dell’impoverimento europeo. Eppure, i dati smentiscono questa narrazione: l’economia europea continua a crescere nonostante – o forse proprio grazie a – l’agenda climatica ambiziosa.
Tuttavia, la posizione europea rimane strutturalmente fragile. Infatti, senza l’impegno vincolante dei tre maggiori inquinatori, qualsiasi accordo raggiunto a Belém rappresenterebbe solo l’impegno della parte relativamente minore dell’economia globale. Pertanto, l’Europa rischia di diventare un “bancomat” nel senso letterale del termine: finanzia la transizione altrui mentre i veri inquinatori restano liberi di continuare i loro affari come sempre.
Le Critiche Dirette a Trump: Leader Uniti nel Disapprovo

La reazione dei leader mondiali presenti a Belém alla defezione americana è stata rara nel mostrare una compattezza quasi totale. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha dichiarato esplicitamente: “Trump è contro l’umanità”. Il presidente cileno Gabriel Boric ha criticato chi “ha scelto di ignorare o negare la realtà scientifica della crisi climatica”, chiaro riferimento alla posizione negazionista di Trump sul cambiamento climatico.
Anche il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha attaccato duramente “le bugie delle forze estremiste che favoriscono la distruzione del pianeta”, un riferimento a malapena velato all’amministrazione Trump e ai suoi alleati negazionisti del cambiamento climatico. Tuttavia, come osserva Il Manifesto, l’assenza di Trump è stata accolta anche con “sollievo da chi temeva manovre ostruzionistiche durante la conferenza”, suggerendo che in assenza di Washington potrebbe emergere una cooperazione maggiormente costruttiva fra i rimanenti paesi.
Peraltro, Emmanuel Macron ha invitato a “rilanciare il multilateralismo”, un appello che suona come una critica velata non solo a Trump, ma anche alla crescente tendenza globale di risacca nazionalista: Stati Uniti che si ritirano dalle cooperazioni internazionali, Regno Unito che ridimensiona il suo ruolo europeo post-Brexit, Brasile stesso che sotto Bolsonaro aveva minacciato di non rispettare i trattati ambientali.
Le Sfide Concrete: Denaro, Impegni Vincolanti e Combustibili Fossili
Oltre all’assenza dei grandi inquinatori, la COP30 affronta sfide concrete che vanno ben oltre le dinamiche simboliche. La prima è la questione della finanza climatica: i paesi vulnerabili – spesso quelli che contribuiscono meno alle emissioni ma soffrono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico – hanno bisogno di miliardi di dollari per adattarsi agli impatti già inevitabili.
Una seconda sfida riguarda l’impegno vincolante sui combustibili fossili. Per la prima volta nella storia delle COP, alcuni paesi hanno concordato esplicitamente sull’abbandono dei combustibili fossili, una conquista che tuttavia rimane minacciata dall’assenza dei principali produttori energetici. Come ha dichiarato il negoziatore dell’UNFCCC Simon Stiell, “abbiamo già concordato di abbandonare i combustibili fossili. Ora è il momento di concentrarsi su come farlo in modo equo e ordinato”. Tuttavia, senza l’impegno dei paesi che producono la maggior parte del petrolio e del carbone globale, queste promesse rimangono essenzialmente teoriche.
Il Pessimismo Realista: Ancora È Possibile, Ma Per Poco
Nonostante il tono desolante dei dati scientifici, alcuni esperti mantengono una prospettiva leggermente più ottimistica. Johan Rockström, direttore dell’Istituto di ricerca sul clima di Potsdam, ha ricordato che “se le emissioni di gas serra fossero ridotte a zero oggi, il superamento della soglia di 1,5 gradi potrebbe essere annullato nel corso dei decenni”. Inoltre, i progressi tecnologici nel settore delle energie rinnovabili sono stati sorprendentemente rapidi: i costi dei pannelli solari sono crollati, le batterie si stanno per diventare altamente competitive con i combustibili fossili, e alcuni paesi hanno già raggiunto quotazioni di energia rinnovabile superiori al 50% del mix energetico.
Tuttavia, come avverte Guterres stesso: “Ma siamo nelle condizioni ideali per contrattaccare”. Ciò che manca non è la tecnologia o le possibilità economiche, bensì la volontà politica. Dunque, mentre a Belém si negozia sul futuro climatico della Terra, i tre paesi che più potevano influenzare questi negoziati hanno scelto di rimanere lontani, trasformando una conferenza che avrebbe dovuto essere un momento di coordinamento globale in un’occasione dove i virtuosi si convincono reciprocamente della necessità di agire mentre i veri responsabili rimangono lontani, indiferenti alle conseguenze delle proprie scelte.
Pertanto, la COP30 rappresenta sia il massimo impegno dei paesi europei e dei piccoli stati alla lotta climatica, sia la conferma di un fallimento strutturale: l’incapacità della comunità internazionale di vincolare i veri inquinatori a impegni concreti. Ebbene, mentre il tempo scade e le temperature salgono, a Belém si consuma l’ennesimo atto di una tragedia dove gli attori principali non si presentano nemmeno in scena, lasciando i comprimari a discutere di una crisi che i protagonisti rifiutano di riconoscere.




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