Il Calo delle Iscrizioni in Infermieristica: Allarme per la Sanità Pubblica Italiana

Il drammatico crollo delle iscrizioni ai corsi di laurea in infermieristica non è soltanto un dato statistico preoccupante, bensì il sintomo di una crisi sistemica che minaccia la tenuta dell’intero sistema sanitario nazionale. I numeri parlano chiaro e dipingono un quadro allarmante: per l’anno accademico 2025-2026 sono pervenute circa 19.298 domande per 20.699 posti disponibili, segnando per la prima volta nella storia recente una situazione in cui le richieste sono inferiori ai posti banditi. Un fenomeno che rappresenta la punta di un iceberg dalle dimensioni gigantesche, destinato a compromettere l’accesso alle cure per milioni di italiani.
Una Fuga Senza Precedenti: I Numeri del Disastro
La portata di questa emergenza emerge chiaramente dai dati a lungo termine, che mostrano un declino inarrestabile. Dal 2010 al 2024, le iscrizioni ai test di ammissione per infermieristica sono crollate del 54,2%, passando da 46.281 domande a poco più di 21.250. Un tracollo che assume proporzioni ancora più drammatiche se consideriamo che, nello stesso periodo, il numero di posti disponibili è progressivamente aumentato per far fronte al crescente fabbisogno di personale sanitario.
Tuttavia, la situazione presenta differenze territoriali significative che rendono il quadro ancora più complesso. Al Nord, in particolare in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, il rapporto domande-posti è drammaticamente basso, intorno a 0,6-0,7, indicando che per ogni posto disponibile si presenta meno di una domanda. In Piemonte, secondo i dati del sindacato Nursind, si registrano 190 candidati in meno rispetto ai 1.176 posti disponibili, mentre all’Università di Parma sono arrivate solo 239 domande su 330 posti.
La Lombardia presenta uno scenario particolarmente preoccupante: nei cinque atenei pubblici regionali le domande sono scese dalle 1.555 del 2024 alle 1.415 del 2025, con una riduzione dell’8,9% a fronte di 2.083 posti banditi. Questo significa che 668 posti rischiano di rimanere vacanti, con un rapporto di circa 7 richieste ogni 10 posti disponibili. Al Sud, benché in alcune regioni le domande superino ancora i posti (fino a 2,1 domande per posto), il trend generale rimane negativo e in costante peggioramento.
Dietro questi numeri si celano problematiche strutturali che vanno ben oltre le dinamiche universitarie.
Prima di tutto, emerge con chiarezza il problema delle retribuzioni inadeguate rispetto agli standard europei. Nel 2022, lo stipendio medio annuo di un infermiere italiano era di 48.931 dollari, circa 9.463 dollari in meno rispetto alla media OCSE di 58.394 dollari. Una disparità economica che rende la professione poco attrattiva, soprattutto per i giovani che hanno davanti un ventaglio sempre più ampio di opportunità lavorative.
Inoltre, le condizioni di lavoro rappresentano un deterrente fondamentale per le nuove generazioni. Turni notturni estenuanti, carichi di lavoro insostenibili, stress elevato e responsabilità crescenti scoraggiano molti potenziali candidati. Come sottolinea Anna Brugnolli, dirigente del Polo delle professioni sanitarie, “c’è una pluralità di offerte lavorative, non solo in campo sanitario, oggi i giovani hanno più possibilità”, rendendo meno attrattiva una professione percepita come troppo gravosa.
La pandemia di COVID-19 ha poi evidenziato in modo drammatico le fragilità del sistema, mostrando agli occhi di tutti quanto gli infermieri siano esposti a rischi elevati senza ricevere un adeguato riconoscimento economico e sociale. Infatti, molti professionisti hanno lasciato la professione durante e dopo l’emergenza sanitaria, mentre i giovani hanno visto in diretta le difficoltà e i sacrifici richiesti da questo lavoro.
Non va sottovalutato nemmeno l’impatto del calo demografico generale, che riduce il bacino complessivo di potenziali studenti universitari. Attualmente, infatti, solo due diplomati su tre decidono di proseguire con l’università, contro il 75% registrato all’inizio degli anni Duemila. A questo si aggiunge il problema del carovita nelle città universitarie, che rende particolarmente difficile la vita dei fuori sede nelle aree metropolitane dove sono concentrati i principali atenei.
Le conseguenze di questa fuga dalle aule universitarie si stanno già manifestando in modo drammatico nel servizio sanitario nazionale.
Secondo la Fondazione Gimbe, l’Italia perde circa 10.000 infermieri ogni anno, compromettendo gravemente l’efficienza dell’assistenza pubblica. Il turnover negativo è alimentato tanto dai pensionamenti (stimati intorno alle 25.000 unità annue) quanto dall’emigrazione verso paesi che offrono condizioni lavorative migliori.
Attualmente, l’Italia conta 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti nel settore pubblico, con forti disomogeneità territoriali che vanno dai 3,83 della Campania ai 7,01 della Liguria. Tuttavia, se si considerano tutti gli infermieri in attività, il dato sale a 6,5 per 1.000 abitanti, comunque ben al di sotto della media OCSE di 9,8 e di quella europea di 9. Peggio dell’Italia fanno solo Spagna, Polonia, Ungheria, Lettonia e Grecia.
Particolarmente allarmante è il rapporto infermieri-medici, che in Italia si ferma a 1,5, contro la media OCSE di 2,7, fotografando un sistema completamente sbilanciato. Inoltre, un dato che dovrebbe far riflettere è che oltre 60.000 infermieri, ossia più di uno su sei, lavorano come liberi professionisti o in cooperative, rappresentando “forza lavoro” strutturale ma precaria del SSN.
Le previsioni per i prossimi anni delineano uno scenario ancora più drammatico.
Secondo il Sistema Excelsior, da qui al 2029 il sistema produttivo italiano cercherà invano tra i 7 e gli 8.000 nuovi professionisti sanitari ogni anno. Altri studi, come quello della Fondazione Ismu Ets, spingono la carenza infermieristica fino a 100.000 unità in meno entro il 2030.
Questi numeri assumono una dimensione ancora più preoccupante se considerati nel contesto dell’invecchiamento demografico. Nel 2024, gli over 65 rappresentavano il 24,3% della popolazione (14,4 milioni di persone), mentre gli over 80 erano il 7,7% (4,5 milioni). Secondo le proiezioni ISTAT, entro il 2050 gli over 65 saliranno al 34,5% (18,9 milioni) e gli over 80 al 13,6% (7,5 milioni). Un incremento della popolazione anziana che richiede un numero sempre maggiore di infermieri, sia per l’assistenza ospedaliera che per quella domiciliare.

Il paradosso è che, mentre mancano gli infermieri, le prospettive occupazionali della professione rimangono tra le migliori in Italia, con un tasso di occupazione a un anno dalla laurea che arriva all’85%. Tuttavia, come sottolinea Antonio De Palma, presidente del sindacato Nursing Up, “proprio questa domanda elevata dovrebbe spingere a potenziare l’offerta formativa, non a ridurla. Invece la sanità italiana imbarca acqua da tutte le parti”.
Le Responsabilità Istituzionali: Un Fallimento Politico
Il crollo delle iscrizioni in infermieristica rappresenta anche il fallimento di una classe politica che per anni ha ignorato gli allarmi provenienti dal settore sanitario. Come denuncia De Palma, “i recenti dati negativi sulle iscrizioni a infermieristica non ci sorprendono, ma rappresentano piuttosto il drammatico tradursi in realtà di anni di denunce e di appelli inascoltati”.
Paradossalmente, per l’anno accademico 2025/2026, il numero di posti disponibili per la laurea triennale in infermieristica era stato ridotto rispetto all’anno precedente, passando da 26.832 a 26.289, con un calo di 543 posti. Una diminuzione che appare incomprensibile di fronte alle richieste pressanti di Regioni e Federazioni per un aumento del fabbisogno complessivo nell’area infermieristica.
La situazione è aggravata dalla recente riforma dei test di ingresso a medicina, che rischia di trasformare infermieristica in una “panchina di riserva” per chi non riesce ad accedere al corso di laurea in medicina. Come osserva De Palma, “forse la nostra professione si è ridotta ad essere una panchina di riserva di Medicina, quando dovrebbe essere il cuore pulsante del Servizio sanitario nazionale?”.
Le Conseguenze sui Livelli Essenziali di Assistenza

La carenza di infermieri sta già compromettendo i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) garantiti dal Sistema Sanitario Nazionale. Come denuncia Gianluca Giuliano dell’UGL Salute, “il Governo intervenga, LEA a rischio”. La mancanza di personale qualificato costringe infatti molte strutture a ridurre i servizi offerti o a ricorrere a personale interinale e cooperative, con costi elevati e standard qualitativi spesso inferiori.
Nel SSN un infermiere su quattro è vicino alla pensione e uno su sei lavora fuori dal Servizio sanitario nazionale, configurando una vera e propria emergenza per la tenuta del sistema. Inoltre, la riforma territoriale del PNRR rischia di essere vanificata senza un’adeguata dotazione di personale infermieristico, compromettendo gli investimenti miliardari previsti per il potenziamento dell’assistenza domiciliare.
La crisi delle iscrizioni in infermieristica rappresenta un allarme che non può più essere ignorato.

Come sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure, soprattutto per le persone anziane e più vulnerabili”.
È necessario un intervento urgente e coordinato che affronti tanto le cause immediate quanto quelle strutturali del problema. Infatti, serve un aumento significativo degli stipendi per allinearli agli standard europei, un miglioramento delle condizioni di lavoro, un potenziamento dell’offerta formativa e una campagna di comunicazione che restituisca dignità e attrattività a una professione fondamentale per la società.
Come ammonisce De Palma, “se non ci sarà un cambio di passo, i giovani continueranno ad allontanarsi da una professione che, come rivelano le nostre indagini più recenti, perfino genitori, fratelli e amici sconsigliano”. Una situazione paradossale per una professione che dovrebbe rappresentare il cuore pulsante del sistema sanitario e che invece rischia di diventare il simbolo del declino della sanità pubblica italiana.i
Ebbene, il tempo per intervenire si sta esaurendo rapidamente. Dunque, senza un’inversione di tendenza immediata, l’Italia si troverà ad affrontare nei prossimi anni una crisi sanitaria senza precedenti, con conseguenze drammatiche per la salute e il benessere di milioni di cittadini. La sfida è epocale e richiede coraggio politico, risorse adeguate e una visione strategica a lungo termine. Infatti, il futuro della sanità pubblica italiana si gioca proprio ora, nelle aule universitarie che rischiano di rimanere vuote mentre i bisogni di cura della popolazione continuano inesorabilmente a crescere.



