Ritorniamo con due articoli, uno dell’otto dicembre 2012 del sottoscritto e l’altro del 2014 del compianto collega Amedeo Esposito a parlare delle Bombe dell’Immacolata. Vi riproponiano i due pezzi gia’ pubblicati su www.abruzzo24ore.tv in occasione della tragica ricorrenza che allora come oggi continua ad essere dimenticata dalla città e dalle istituzioni.

Lina Tizzi, il 19 dicembre del 2006 inviò alla stampa una lettera in cui deplorava le Istituzioni per la completa dimenticanza della tragedia occorsa il giorno dell’Immacolata a causa di uno dei bombardamenti che la città subì nell’ ultimo conflitto mondiale.
Oggi anniversario dell’Immacolata e del bombardamento della Zecca dell’Aquila ancora una volta nessuno ha ricordato questa tragedia.
Noi vogliamo riproporvi la lettera, dandovi appuntamento ai prossimi giorni quando pubblicheremo testimonianze ed interviste realizzate in occasione delle riprese del documentario “Le bombe dell’Immacolata” da noi realizzato in collaborazione con Walter Cavalieri, studioso e storico aquilano.

“Coltivare la memoria per costruire il futuro”

Gianfranco Di Giacomantonio

«Anche quest’anno l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, è passata sotto silenzio la tragedia aquilana della Zecca, quasi si voglia rimuovere il ricordo di 19 giovani morti nei reparti di “verifica e numerazione” dell’officina Zecca della Banca d’Italia, centrata da una delle bombe sganciate da una squadriglia americana di bombardieri provenienti da Foggia.
 Era l’8 dicembre 1943 quando i giovani operai, avvertito il pericolo, cercarono di guadagnare l’uscita, ma furono ostacolati dalle guardie tedesche e questo rese più grave il bilancio delle vittime e dei feriti. Alcuni testimoni raccontano che i resti martoriati delle vittime, delle quali la maggior parte ragazze, vennero raccolti e trasportati nelle camere mortuarie dell’Ospedale San Salvatore, mentre i feriti venivano trasportati dalla Croce Rossa o a piedi sulle barelle dagli uomini dell’Unpa (Unione Nazionale Protezione Antiaerea).
 Era un inferno. Si incontravano persone che gridavano e correvano verso la Zecca per conoscere la sorte dei propri cari; i superstiti del disastro, atterriti, cercavano di raggiungere il centro, mentre schegge impazzite e detriti proiettati dalle esplosioni verso la città, procuravano altri feriti. Accorrevano sul posto, oltre ai civili, anche i frati di Santa Chiara e l’Arcivescovo Confalonieri che presero parte attiva alle opere di soccorso; lo stesso Arcivescovo sollevò con una spalla una trave di legno del tetto consentendo di estrarre dalle macerie alcuni feriti. Alla Zecca ci fu il maggior numero di vittime aquilane che insieme ai 9 Martiri appartengono al nostro recente passato che alcuni cercano di cancellare sotto un pretestuoso e riduttivo revisionismo storico. Noi abbiamo il dovere di non dimenticarli per un impegno di responsabilità civile cui nessuno deve sottrarsi perché le nuove generazioni si rendano conto che le guerre sono inutili e causano solo lutti e lacerazioni. Non recidiamo, quindi, il filo della memoria, che è lo strumento insostituibile per restituire vita e attualità a ciò che è sepolto dal passare veloce del tempo e dallo stravolgimento delle cose.
 Noi Aquilani abbiamo il dovere di onorare non solo la memoria dei 9 Martiri, ma anche quella delle 19 vittime della Zecca e proponiamo all’Amministrazione Comunale di intitolare una strada della città dell’Aquila a perenne ricordo di queste ultime: Fulvia Andreassi, Antonina Bucchiarone, Vanda Ciaglia, Domenica Diavola, Maria Corradini, Lucia Angelosante, Clementina Del Vecchio, Fulvio Di Benedetto, Romolo Fattori, Berardino Moscardi, Vanda Riceputi, Ubaldo Riga, Italia Sansone, Claudia Scimmia, Elisa Sebastiani, Ernestina Stinziani, Elena Taccalite, Giovanna Tessari.

71 anni fa il bombardamento dell’Immacolata all’Aquila.

di Amedeo Esposito

Distruggete all’Aquila le officine carte e valori della Banca d’Italia (la “zecca” per gli aquilani): sono il “forziere” delle armate tedesche in Italia.

Questo l’ordine dato l’8 dicembre del 1943, festa della Concezione, dal comando generale angloamericano alle formazioni aeronautiche di stanza a Foggia.

Un “ordine” che mai è entrato, quale strategia militare, nella storia della seconda guerra mondiale, per le deviazioni politico-ideologiche che si sono addensate negli ultimi 70 anni intorno al luttuoso evento che sconvolse L’Aquila per la distruzione delle Officine carte e valori e dello scalo ferroviario, e per  la morte di tedeschi, inglesi, italiani e 15 dipendenti e quattro operai della Banca d’Italia.

Mussolini, dopo il “rapimento” da Campo Imperatore ad opera dei paracadutisti della Wehrmaht, fu costretto da Hitler – altro che amico, com’è nella storia-  a costituire la repubblica sociale italiana (conclusasi tragicamente a Piazzale Loreto a Milano), ch’ebbe il conosciuto elevatissimo spargimento di sangue degli italiani, ma anche un notevole costo economico e finanziario.

Il dittatore tedesco pretese elevati contributi per le spese generali del Terzo Reich (nel solo primo anno189 miliardi di lire, ad oggi 9099 miliardi di lire pari a 4.700 milioni di euro), nonché la consegna sistematica gratuita dell’intera produzione bellica dell’Italia settentrionale.

Inoltre impose – come scrive in una nota, del 29 settembre 1943, il governatore Vincenzo Azzolini – il trasferimento dell’ingente tesoro della Banca d’Italia in Germania e lo spostamento della Officine carte e valori dall’Aquila a Verona.

Quest’ultima clausola, però, venne sospesa lo stesso giorno in cui il ministro tedesco della propaganda Joseph Goebbels, dinanzi ai cancelli della residente del Fuhrer, inscenò la farsa del “dono” di 13 miliardi di lire (sei milioni di euro, 11.750 miliardi delle vecchie lire) da parte della città dell’Aquila.

I tedeschi, dieci giorno dopo l’occupazione della città, trovarono  l’ingente somma custodita nelle vastissime sacrestie della filiale della Banca d’Italia, di corso Federico II, trasferendola direttamente in Germania. Altro che “dono”, fu vera e propria rapina di cui gli aquilani e l’Italia intera vennero a conoscenza solo sessant’anni dopo (2003), in seguito alle ricerche fatte (da chi scrive) negli archivi storici della Banca d’Italia.

Di conseguenza le officine carte e valori rimasero attive all’Aquila, dove Hitler  istituì la sua “banca” per la guerra in Italia .

Il primo novembre del 1943, dopo gli accordi ripassati tra i plenipotenziari dei tedeschi ed il direttore delle officine, l’ing. Del Guercio, con il maggior sfruttamento dei macchinari e turni lavorativi continuati 24 ore su 24 (svolti da circa 700 donne aquilane), la produzione dei biglietti di banca da 600.000 pezzi fu portata a 900.000 pezzi al giorno

La cui distribuzione fu così imposta:… la produzione di 4 giornate di ogni settimana verrà avviata direttamente dall’Aquila alla sottosezione di Milano, salvo, in caso di necessità a lasciarne un certo quantitativo alla sede di Firenze, specialmente per le esigenze delle forze armate germaniche.

I biglietti prodotti nelle altre tre giornate verranno spediti alla sottosezione della cassa speciale a Roma e saranno utilizzati per le necessità delle forze germaniche del Sud…”

Non v’ha dubbio che la distruzione delle officine, come avvenne nella luminosa mattina della Concezione di 71 anni fa, che tolse uno degli elementi più significati per la sopravvivenza delle truppe tedesche, dovesse rientrare tra gli obiettivi militari più importanti del conflitto.  

L’Aquila, però, ancora piange i suoi morti: le 15 operaie e 4 operai del “reparto verifica” (il controllo dei biglietti già stampati) delle stesse officine, i 25 cittadini del quartiere Rivera (di due di essi non furono mai trovati i corpi), i circa 200 prigionieri inglesi piombati nei vagoni dello scalo ferroviario e, secondo un rapporto non ufficiale, gli oltre 50 soldati tedeschi, colpiti dalle bombe delle fortezze volanti angloamericane.


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