Facciamo un recap: la mattina del 7 agosto la squadra mobile dell’Aquila, diretta dal vice questore Marco Mastrangelo, ha eseguito diverse ordinanze di custodia cautelare in carcere; i diretti interessati erano un 20enne, un 19enne e un 23enne (ai domiciliari). Un quarto (19enne), ancora da scovare. Causa del provvedimento, una serie di circostanze illecite nel centro cittadino – San Bernardino e Corso Vittorio Emanuele in particolare.

In seguito alle indagini, è stata delineata una vera e propria “associazione a delinquere”, formata da due maggiorenni e tre minorenni; coinvolti in reati di estorsione, danni al patrimonio altrui, contornati da episodi di violenza di gruppo. Abbiamo dunque 11 indagati in totale.

La distinzione tra maggiorenne e minorenne, in questo caso, poco influisce sulla radice del problema. Partiamo col dire che le violenze di gruppo non sono ormai nuove all’Aquila ma, anzi, si intensificano lentamente nelle dinamiche di sopruso e scopo. L’ “indice di empatia”, se così vogliamo definirlo, si è notevolmente abbassato in tutto il paese; L’Aquila, da questo punto di vista, è solo l’ennesima proiezione, aggravata ulteriormente dalle condizioni ed il background del capoluogo.

Quando si parla di minorenni o maggiorenni, l’elemento empatia non può essere l’unico in causa, perché sarebbe come ammettere la nascita di “bambini buoni” o “bambini cattivi”; il che suona ridicolo, sia scientificamente che antropologicamente. Al contrario, ci rifacciamo sull’aspetto educativo, la parte più diretta ed influente, capace di portare alla luce la forma mentis di un adolescente.

L’educazione, l’occhio critico, il senso civico sono tutti elementi che, benché soggetti al contesto socio-culturale, derivano prevalentemente dall’ambito educativo, l’habitat in cui si manifestano i primi “mix” caratteriali. Ora, il fatto che abbia scritto “associazione a delinquere” utilizzando delle virgolette non è un caso: i termini giuridici hanno si, una rilevanza, ma bisogna anche saper contestualizzare; credere che dei ragazzini siano in grado di riconoscere il peso di ciò che è illecito non è sempre così scontato, poiché tale consapevolezza deriva dall’ambito familiare.

Ricordiamo il triste caso avvenuto presso Manduria: il pensionato aggredito da 9 ragazzi (di cui 8 minorenni) non deve sottolineare la “perfidia” o un’ “irrimediabile delinquenza” – da bravi sentenziosi davanti al telegiornale; piuttosto, una questione in sospeso all’interno del nucleo familiare. Sia chiaro, si parla sia di possibili traumi – es. casi di violenza domestica – che semplice disattenzione dei genitori. Tutto ha un suo esito.

Capire dunque il problema, correggere il tiro, individuare una causa scatenante. La nascita delle cosiddette baby gang delinea una problematica insita soprattutto nei contesti urbani, un fenomeno da tenere sotto controllo; quando sono le forze dell’ordine ad essere chiamate in causa è certo che l’episodio ha già raggiunto un apice ben preciso. Le dinamiche in gioco possono anche riguardare semplicemente la gestione di un quartiere, il suo abbandono e ciò che ne consegue.

Dov’è l’attenzione delle istituzioni? Dov’è il lavoro dello Stato? In questo momento, l’attuale situazione politica non aiuta ad auspicare un eventuale rimedio: ciò che dovrebbe essere l’esempio è attualmente sporco, un bastone senza alcuna carota, ma donato dalla negligenza delle famiglie, dai loro traumi interni, dalla noncuranza di chi amministra il cittadino, sia nei piccoli comuni che nelle grandi metropoli.

L’Aquila è un piccolo bacino, ma pullula di casi simili, in cui termini come “minorenne” e “maggiorenne” fanno scalpore, ma vengono separati, come se uno non fosse conseguenza dell’altro; come se non ci dovesse essere un provvedimento immediato, che sappia organizzare e guidare un ragazzo/a verso un percorso congiunto e corretto.
Il diritto alla crescita e al benessere è oggi, invece, il dono di pochi.

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